E’ stato ar fronte,
sì, ma cor penziero,
però te dà le
spiegazzioni esatte
de le battaje che nun
ha mai fatte,
come ce fusse stato pe
davero.
Avresti da vedè come
combatte
ne le trincee d’Aragno.
Che gueriero!
Tre sere fa, pe prenne
er Montenero,
ha rovesciato er
cuccomo der latte.
Cor su sistema de
combattimento
trova ch’è tutto
facile: va a Pola,
entra a Trieste e
bombarda Trento.
Spiana li monti,
sfonna, spara, ammazza,
“Pe me – borbotta –
c’è ‘na strada sola”
e intigne li biscotti
ne la tazza.
Trilussa, L’eroe ar
caffè
Da
neofita e sprovveduto nel mondo “dell'allenamento” e
“dell'allenare” (o del coaching come si dice ora) mi capita spesso di tenere le orecchie ben
aperte per cercare di apprendere tutto quello
che si può imparare, come si dice a Roma, aggratise (traducendo:
“gratuitamente”) dalle esperienze e dai racconti di chi quel
mondo lo ha vissuto e lo vive più di me.
Giocando
da un po' di anni in giro per l'Italia ho avuto anche la fortuna di
vedere e sentire campane diverse, partecipare a corsi di vario genere
e argomento e, ultimo ma non meno importante, vivere sulla mia pelle
alcune situazioni.
In
questi giorni, tranquillamente seduto a cena a un tavolo di amici
allenatori, per l'ennesima volta ho dovuto sentire come in quel luogo
in cui ci trovavamo ci fossero i migliori allenatori d'Italia. Non
faccio nomi perché lo stesso discorso lo potrei fare per tanti altri
luoghi della penisola fornendovi ogni volta una spiegazione plausibile e vera. Tutti
quanti siamo sempre nel posto in cui si fa la migliore pallavolo!
Quando,
però, parliamo di risultati, sia in termini di vittorie sportive,
che di creazione di talenti o di programmazione tutti tornano in
trincea: “ma qui i soldi sono pochi”, “ qui c'é il calcio che
porta via i talenti”, “non ci sono le palestre”, etc.
Solitamente il discorso poi finisce, a meno che il sottoscritto non
si innervosisca (purtroppo sto invecchiando e capita sempre più
spesso), più o meno così: “guarda la storia, qui ci sono da
sempre giocatori e squadre importanti”, etc..
Riassumendo:
è tutto bello, ma quando fai notare che non è proprio così escono
fuori le scuse e si adducono prove delle proprie capacità che a volte risalgono fino anche
agli anni '70!
Ovviamente,
come sempre, sto esagerando e generalizzando un po' il concetto per
renderlo più chiaro.
Quello
che mi chiedo è: una volta appurato che siamo in una situazione
buona, media o pessima, cosa può fare un allenatore per renderla migliore, a
prescindere di come la valuta? Come può fare andare avanti la pallavolo senza rivangare i fasti del passato o cercare col lanternino i buoni
risultati del presente?
Su
questo discorso si potrebbe aprire un mondo, ma quello che io credo è
che sia la persona a fare la differenza in un sistema: dopodiché se
il sistema è funzionante e funzionale è ovvio che i risultati del
singolo saranno maggiormente esaltati e utili alla comunità
piuttosto che in un sistema poco oliato e mal funzionante. Resta il
fatto che la persona giusta, anche in un posto difficile, può e deve
fare la differenza. Non sono sprovveduto: parto dal presupposto che
per “posto difficile” si possa intendere (ed è sacrosanto) anche mancanza di spazi,
stipendi, ragazzi, palloni...ma non possibilità o opportunità!
Dando
per assodate tutte queste premesse mi sono chiesto se potrò mai diventare un allenatore con tutte le carte in regola? Conseguentemente la domanda è: quali sono le caratteristiche che un
allenatore deve avere per produrre risultati?
Apro una
parentesi: il risultato è l'obiettivo programmatico della società o
dell'allenatore e non per forza combacia con la vittoria sul campo!
Mi è
rimasto molto impresso un dialogo che ho avuto con un allenatore
della Mens Sana Basketball Academy, settore giovanile senese, tra i
migliori in Italia, che mi faceva notare come dietro il loro allenare
c'è una filosofia ben definita che ha l'obiettivo di creare
giocatori (e allenatori!) di primo livello a scapito anche di titoli
nazionali che, modificando di poco alcune metodologie di allenamento,
potrebbero essere ottenuti con relativa facilità o comunque,
potrebbero essere un po' più alla portata. Chiudo qui la parentesi
altrimenti mi dilungo troppo.
Ho
provato, pertanto, basandomi anche su analisi di esperti e chiacchieroni da
bar (non tutto quel che viene detto al bar è sbagliato, anzi!) a
identificare alcune caratteristiche che un allenatore secondo me deve
avere:
1.
Curiosità
Sottotitolo:
coraggio, passione e competenza
Non
potevo non metterla per prima visto l'inizio del post. Per curiosità
intendo la voglia di studiare e aggiornarsi, la ricerca di stimoli e
il coraggio di sperimentare: senza curiosità non c'è
miglioramento, ma uno stallo continuo che porta all'indolenza e
toglie brio in primis all'allenatore e, in rapida successione, a
tutti i giocatori. La mancanza di curiosità intesa in questo senso
è, secondo me, la malattia comune alla maggior parte degli
allenatori a tutti i livelli. Essere curiosi implica fatica e
sacrifici che quasi sempre non hanno un corrispettivo tangibile. Chi
vive di curiosità si nutre di passione: forse il tempo storico non
è quello giusto per una dieta del genere, ma credo che se si
sceglie di diventare allenatori bisogna mettere in conto questa
situazione. Un allenatore è un innovatore, un ricercatore e una
figura dinamica per definizione. Chi allena senza pensare, tanto per
passare due ore in palestra, dovrebbe ripensare qualcosa della sua
vita!
2. Comunicatività
Questo
punto è tanto banale quanto vasto. Il concetto è molto semplice:
sul lungo periodo, se vuol essere seguito da una squadra, un buon
allenatore deve essere in grado di sentirla e farsi sentire. Questo punto è molto importante e anche causa di molti
fraintendimenti: la comunicazione è bidirezionale! Esistono e si
stanno sviluppando in questi anni tanti studi e metodologie per
migliorare la capacità di far comprendere agli altri quello che si
vuole dire. Per allenare non basta: si può essere ottimi oratori,
ma pessimi comunicatori. Per comunicare bisogna dire ed ascoltare o, meglio ancora, sentire e sentirsi! Da questo punto di vista mi permetto di
fare una considerazione molto personale e datata nel tempo. Ho avuto
la fortuna di avere come allenatore in nazionale juniores, qualche
secolo fa, Angelo Lorenzetti, attuale allenatore di Trento. Per la
mia esperienza lui non era un abile oratore, ma è stato un
eccellente comunicatore perché da giocatore percepivo fiducia e
sapevo sia quali erano i miei obiettivi sia che, se
avessi fatto quello che mi suggeriva lui, li avrei raggiunti.
Altro
esempio è Mauro Berruto per la comunicatività sul breve periodo.
Di lui si può dir tutto tranne che non sia un bravo e ordinato
oratore/scrittore (al di là dell'essere d'accordo su quello che dice
che nel nostro caso è irrilevante), ma più che questo aspetto
mi piaceva di lui la gestione della comunicazione nel time-out: tre
input, mai di più, precisi, espressi in maniera chiara e che di
solito davano ad ogni giocatore una sola cosa a cui pensare. Facendo
un confronto televisivo con Lorenzetti si può notare questo:
il time
out di Berruto dà informazioni chiare anche a chi è seduto sul
divano di casa con birra e/o gelato in mano, quello di Lorenzetti è
assolutamente incomprensibile. Eppure vi assicuro che l'efficacia è
la stessa per i giocatori perché gesti e parole
chiave che sottintendono concetti hanno lo stesso peso per chi li
riceve di un discorso ben articolato se dietro c'è altro. In entrambi i casi non
importa solo come si dice qualcosa, ma come funziona lo scambio
bidirezionale giocatori/allenatori: se questo funziona la squadra
viaggia insieme compatta e si supera tutto...altrimenti non si va da
nessuna parte.
Comunicare
è “dare e essere recettivi nel ricevere”
3. Esempio
(o leadership?)
Un
allenatore è una guida a tutti i livelli e in tutti i sensi, non
solo nel gioco e nei suoi sviluppi. A livello giovanile secondo me
dev'essere, addirittura, prima un educatore (che non deve sostituirsi
alla famiglia, ma affiancarla) e poi un tecnico.
La cosa
che ho notato è che se un giocatore non considera un buon esempio nella vita di tutti i giorni il
suo allenatore, non gli darà rispetto
nemmeno in palestra: il che non significa che non obbedirà ai suoi
comandi, ma che semplicemente lo farà in maniera meccanica, senza
metterci del suo e bloccando quella comunicazione bidirezionale di
cui si parlava al punto 2.
L’allenatore,
sia nei settori giovanili che nelle prime squadre, è l’esempio. La
sua mentalità, il suo modo di fare e il suo atteggiamento
influenzeranno di conseguenza il comportamento dei giocatori. Per
questo, in questa caratteristica, non rientra solo il carisma, ma
anche l’immagine e l’educazione. Essere una persona limpida,
senza ombre, aiuta all’interno di uno spogliatoio e permette al
tecnico di essere sempre in una posizione di forza rispetto ai
giocatori.
A
questo aggiungerei la capacità di affrontare tutte le situazioni
con un atteggiamento positivo, dinamico e, tornando al punto 1 del
post, di curiosità.
Come allenatore ho la
responsabilità per quello che si fa in campo ma anche fuori, per
questo cerco di conquistarmi il ruolo di leader, per farmi seguire.
Si dice che io incuta timore, ma per imporsi non ci sono spartiti
precisi, bisogna cercare di farsi seguire, col buon esempio,
attraverso il comportamento personale.
Zdeněk Zeman
4. Competenze
e capacità di riportarle ai propri giocatori
Questo
punto si spiega da solo. Bisogna STUDIARE per pensare di poter
allenare! E quando dico studiare non mi riferisco solo alla tecnica
o alla tattica, ma anche ai modi per rendere le nozioni facilmente
assimilabili dai nostri giocatori. Penso che aver giocato possa aiutare, ma solo in piccola parte. La competenza, infatti, va ben
oltre l’esperienza. Bisogna entrare nell’ottica di essere
innanzi ad un nuovo punto di partenza ed essere delle “spugne”
pronte ad assorbire ogni insegnamento, scevri di preconcetti e
convinzioni antecedenti. Solo con questa base si può divenire poi
un allenatore competente, in grado di imparare anche dopo anni e
anni di carriera e adattarsi alla continua evoluzione del mestiere.
5.
Autocritica e capacità di gestire i giudizi
Aggiungerei
anche la capacità di gestire i pregiudizi!
Fondamentalmente
è tutto semplice quando i risultati arrivano e la squadra gira alla
grande. Ma la carriera di un allenatore è fatta principalmente da
sconfitte più che da vittorie (a parte rare eccezioni). Per questo è
fondamentale saper essere autocritici, capire quando l’errore sta a
monte e non a valle, cioè alla sconfitta sul campo da gioco. Questa
qualità è necessaria per un allenatore che vuole innovare e
migliorare, se stesso come la squadra. E ricordiamoci sempre che la
vittoria non è solo quella legata al risultato del campo!
Discorso
critiche. Personalmente mi danno un fastidio esagerato, però passato
il primo momento di permalosità mi sono state sempre molto utili (da
giocatore) per due ragioni:
a. sono uno
stimolo a far vedere che sono forte (perché nessuno lo dice, ma
tutti pensano di esserlo...credo sia una condizione sine qua non è
impossibile giocare ad alti livelli o raggiungere obiettivi molto
importanti in relazioni alle proprie capacità)
b. che
ci piaccia o no molte sono critiche giuste. Oltretutto ascoltare più
punti di vista ci consente di avere un quadro più completo della
situazione e sviluppare soluzioni più centrate e idonee
6. Capacità
di programmazione
Questa
abilità la vorrei intendere in senso ampio: non è solo costruire
un programma tecnico o tattico, ma viverlo e portarlo avanti
quotidianamente adattandolo e supportandolo.
Ogni
allenatore, anche involontariamente, parte con delle proprie idee o
basi. Può essere un sistema di gioco, un determinato tipo di
mentalità, una visione tecnica: ogni allenatore imposterà il
proprio lavoro su queste fondamenta. È dunque importantissimo che
un buon tecnico sia in grado di programmare il lavoro del suo
gruppo, passo dopo passo, sulla base di metodi in cui crede
fermamente. Non si possono improvvisare allenamenti o lezioni
tattiche. Bisogna essere al tempo stesso pronti ai cambiamenti, ma
pazienti nell'attendere i risultati. Cambiare, restare in equilibrio
e avere pazienza: elementi in antitesi ma tutti ingredienti
follemente fondamentali per ogni allenatore che voglia raggiungere i
suoi obiettivi.
Aggiungo
una considerazione: avremo a che fare con ragazzi di cui circa la metà verrà scontentata ogni domenica, con dei tifosi che
pretendono risultati e con una dirigenza che pretende il
raggiungimento di determinati obiettivi. Da allenatori saremo il
filo che collega tutte queste posizioni, il funambolo che, in base
alla situazione da affrontare, è sempre costretto a scegliere senza
snaturare la programmazione: niente arriva subito e perciò l'arte
dell’attesa è fondamentale. Saper attendere e, soprattutto,
incassare i colpi è, purtroppo o per fortuna, una capacità
che se non abbiamo dovremo sviluppare se vogliamo fare questo
lavoro!
Credo
che senza anche solo una di queste 6 caratteristiche definirmi "allenatore" sia molto ottimistico. Vorrei chiudere lo sproloquio
odierno facendo mia e adattando una frase di derivazione calcistica
che penso mi apparterrà quando passerò dall'altro lato,
se mai accadrà in maniera definitiva e univoca:
[Il calcio] La
pallavolo è già difficile per chi ne capisce, figuriamoci per gli
allenatori.
[Franco Rossi ft] Myself