lunedì 19 dicembre 2016

Scrittura a mano: semplice soluzione per la libertà

Esprimi il tuo pensiero in modo conciso perché sia letto, in modo chiaro perché sia capito, in modo pittoresco perché sia ricordato e, soprattutto, in modo esatto perché i lettori siano guidati dalla sua luce.
Joseph Pulitzer



In un mondo dominato da touch-screen, audio-messaggi e realtà virtuale ha ancora senso riflettere sulla scrittura manuale? La scrittura a mano ha un futuro? Bella domanda. In un mondo in cui le tastiere del computer – che solo pochi anni fa era considerato all’avanguardia – sono state ormai rese obsolete da touchscreen, audio-messaggi e realtà virtuale di sorta, ha ancora senso riflettere sulla scrittura manuale? Secondo l’Associazione Calligrafica Italiana assolutamente sì, tanto che per rispondere a questa domanda il 25 e 26 novembre 2017 è stato organizzato un convegno internazionale fitto di incontri in cui la bella scrittura sarà al centro di dibattiti e ragionamenti.

ilLibraio.it (spazio multimediale del Gruppo editoriale Mauri Spagnol)ha chiesto a Benedetto Vertecchi, professore ordinario di Pedagogia presso l’Università Roma Tre, di anticipare i temi che affronterà sabato 26 novembre alle ore 11:45. La conferenza dal titolo “Scrivere a mano: il segno del pensiero” vuole indagare le conseguenze sullo sviluppo infantile causate dalla sostituzione della scrittura manuale con quella digitale. Di seguito i passaggi dell'intervista.

In che modo, secondo gli studi da lei considerati, la scrittura digitale influisce nello sviluppo mentale, nelle capacità di coordinamento percettivo-motorio e sulla memoria dei bambini?
“Da alcuni anni molti insegnanti mi venivano segnalando la crescente difficoltà dei loro allievi a usare il linguaggio scritto. Del resto, avevo potuto rendermi conto di tali difficoltà anche osservando in che modo scrivevano i miei studenti all’università: il corsivo in molti casi era sostituito dal maiuscoletto o dallo stampatello, i caratteri apparivano incerti e disallineati, il modo di impugnare la penna richiamava più quello necessario a maneggiare una clava che quello che consentiva il controllo dello strumento usato per produrre il segno. Se non mi stupiva la segnalazione della difficoltà, mi lasciava tuttavia perplesso che la caduta del corsivo intervenisse così precocemente nel percorso scolastico. Non mi sarei sorpreso di sapere che la capacità di scrivere a mano stesse regredendo nelle scuole secondarie, ma non avrei immaginato che si manifestasse già nella scuola elementare. Per cercare di capire che cosa stesse avvenendo, e quali conseguenze ne derivassero per gli allievi, ho elaborato un progetto di esperimento, che il Laboratorio di Pedagogia sperimentale dell’Università Roma Tre ha fatto proprio e ha sviluppato con la collaborazione di due scuole della cintura urbana”.
Com’è andata?
“L’ipotesi che si voleva verificare era che per conservare e accrescere la capacità di scrivere occorreva esercitare la scrittura con continuità. Riprendendo una massima ricavata da Plinio il Vecchio (‘Nulla dies sine linea’, che ha anche dato il nome all’esperimento), ho chiesto agli insegnanti di impegnare i loro alunni in attività di scrittura quotidiana. Si trattava di chiedere agli allievi di terza, quarta e quinta elementare di scrivere, rispettivamente, brevi testi di quattro, cinque o sei righe sulla base di stimoli accuratamente studiati per consentire una produzione verbale non condizionata da stereotipi di comportamento scolastico o da riferimenti valoriali. I bambini dovevano sentirsi liberi di scrivere, sapendo che nessuno avrebbe valutato i loro testi. Si chiedeva loro di scrivere soltanto a mano, ma senza spingerli a farlo in corsivo. Nel complesso, il tempo richiesto per svolgere questa attività era di un quarto d’ora ogni giorno. L’esperimento si è protratto per circa tre mesi e mezzo e ha coinvolto poco meno di quattrocento bambini: si può trovare la descrizione della procedura seguita nel volume I bambini e la scrittura, pubblicato in settembre da Angeli”.
Quali sono stati i risultati?
“È stato possibile raccogliere circa 28.000 documenti, ordinati in serie diacroniche, dai quali ci si può rendere conto dei cambiamenti che intervengono attraverso una pratica costante della scrittura manuale: si tratta di cambiamenti che riguardano sia la qualità dei segni tracciati, sia quella dei testi prodotti. Per quanto nessuno abbia spinto i bambini a modificare il loro comportamento, nel succedersi delle settimane si poteva osservare non solo il progressivo miglioramento nella qualità grafica dei documenti prodotti, ma anche una maggiore appropriatezza ortografica e una più accurata selezione del lessico. I risultati ottenuti sono del tutto coerenti con le indicazioni che da tempo si ricavano da un gran numero di ricerche sullo sviluppo mentale dei bambini, in particolare per ciò che riguarda il coordinamento percettivo-motorio, l’esercizio e il potenziamento della memoria. Sono ricerche che fanno capo non solo alla pedagogia e alla didattica, ma a molti altri settori della conoscenza: quello della scrittura si presenta oggi come un terreno d’indagine fortemente interdisciplinare.”



Nella presentazione del suo intervento al convegno si legge: “La scrittura è una soluzione semplice […]. È proprio questa semplicità che conferisce il massimo di libertà al pensiero di chi scrive”. Potrebbe spiegare più ampiamente tale affermazione, concentrandosi, in particolare, su come secondo lei la scrittura manuale possa garantire più libertà a chi scrive rispetto a un mezzo digitale?
“Nel Vangelo di San Giovanni leggiamo che ‘Gesù, chinatosi, si mise a scrivere con il dito in terra’ (8, 3-6). Non sappiamo che cosa abbia scritto, ma conosciamo il contesto: quello riferito è l’episodio dell’adultera, nei cui confronti gli scribi e i farisei mostravano il loro sdegno. Lasciamo che altri approfondiscano l’episodio da un punto di vista religioso. Quel che ci interessa rilevare è che Gesù non ha avuto bisogno di nulla per scrivere, neanche di un supporto specifico, dal momento che ha scritto nella polvere, o di uno strumento adatto a tracciare segni, visto che ha usato un dito. Quel che ricaviamo è che la libertà di scrivere si collega direttamente alla possibilità di farlo senza dover ricorrere a soluzioni strumentali complesse. Tutto sommato, scrivere sulla carta con la penna è quanto di più simile al modo in cui Gesù ha replicato alle accuse degli scribi e dei farisei. Il complicarsi della produzione del segno condiziona inevitabilmente la produzione del testo. Se usiamo, come oggi spesso avviene, un dispositivo digitale, non possiamo fare a meno di disporre di energia elettrica, di una mediazione strumentale che interrompe la continuità del controllo di chi scrive sul testo, e che in molti casi lo modifica o lo condiziona al di là di quanto si vorrebbe”.

La libertà vive nelle semplici espressioni di sé stessi.

venerdì 16 dicembre 2016

Allenare le abilità mentali per realizzare le proprie potenzialità

Lavora ogni giorno sui tuoi pensieri piuttosto che concentrarti sui tuoi comportamenti. È il tuo pensiero che crea i tuoi sentimenti, e, alla fine, anche le tue azioni.  
Wayne W. Dyer 



Pallavolo e trail running, due mondi apparentemente inconciliabili: uno sport aerobico, di resistenza, contro una disciplina anaerobica e con movimenti di massima potenza racchiusi in pochi secondi. Eppure la pratica dell'una mi ha aiutato a sviluppare abilità per l'altra e viceversa.
Quando si pratica sport è importante allenare il proprio corpo, ma altrettanto indispensabile è avere una mente forte, lucida e piena di risorse per poter sopperire alle difficoltà che si possono presentare durante la gara. Un numero sempre maggiore di atleti, agonisti e non, rivolge la propria attenzione all’allenamento mentale per completare ed accompagnare i tradizionali metodi di allenamento fisico. Se nell’allenamento fisico si ripetono dei carichi di lavoro al fine di provocare cambiamenti strutturali e biochimici nella fibra muscolare, nell’allenamento mentale si ripetono stimoli di natura emotiva, cognitiva ed ideomotoria al fine di sviluppare le abilità mentali specifiche per aumentare il rendimento e ottimizzare la prestazione.
A tal proposito, riporto la definizione che Martens (1987) dà della preparazione mentale:

l’allenamento mentale  viene prima di tutto inteso come educazione, informazione da dare all’atleta riguardo alle sue abilità, a come queste agiscono ed influenzano la prestazione; successivamente come  la definizione di programmi strutturati al fine di potenziarle, ed infine, come allenamento ed applicazione nelle varie situazioni.

Ma quali sono le abilità mentali che un atleta deve sviluppare?


  • Controllo dei processi attentivi: equivale all’abilità di restare focalizzati sul “qui ed ora” e non distrarsi dall’obiettivo.
  • Controllo dello stato di attivazione (arousal): l’attivazione psico-fisiologica dell’organismo, ad un livello troppo basso (ipo attivazione) si traduce in poca energia, stanchezza, motivazione vacillante…insomma in un’atleta “scarico”,  mentre, al contrario un livello troppo alto equivale a uno stato di agitazione eccessiva, sudorazione, tensione muscolare che non agevolano la prestazione. 
  • Gestione dello stress e dell’ansia (pre-post gara), fattori che generalmente si innalzano quando l’atleta valuta di non avere le capacità adeguate per rispondere alle richieste del compito.
  • Controllo delle attività immaginative (imagery): attraverso lo sviluppo e l’allenamento di tali abilità, l’atleta può usare immagini mentali per anticipare, rivedere e correggere la propria prestazione. Attraverso il riviversi mentalmente lo sportivo può consolidare e perfezionare un determinato gesto tecnico, può abituarsi a tollerare momenti stressanti, a prepararsi a situazioni che potranno verificarsi in gara; le immagini mentali sono uno strumento molto potente ed efficace se usate nel modo corretto perché orientano la mente verso una direzione.

Questa abilità in particolare è fondamentale nell'esecuzione di un qualsiasi gesto tecnico nella pallavolo: “rivedere” il gesto prima di compierlo produce input positivi che spesso si manifestano in un'esecuzione tecnica se non corretta quanto meno efficace. Riportarla nel trail running, invece, è utile, per esempio, quando si è stanchi ma il traguardo è lontano: immaginare il gesto tecnico aiuta ad ottimizzarlo. Inutile sottolineare come un gesto ben eseguito produca un risparmio energetico oltre che una spinta migliore...due risultati non da poco per un corridore in difficoltà!

  • Formulazione degli obiettivi (goal setting): sapere dove vogliamo andare e individuare il risultato da raggiungere sono aspetti che consentono ad un atleta di sentirsi motivato a non mollare neanche di fronte alle difficoltà
Su questo vorrei fare una considerazione estemporanea. Il bravo allenatore sa dare obiettivi stimolanti ma raggiungibili al proprio atleta: una pessima taratura del risultato da raggiungere produce frustrazione e stress aggiuntivi e, conseguentemente, fa crollare le prestazioni.



  • Il controllo dei pensieri (self talk): ciascuno di noi comunica con il suo mondo interno, tra sé e sé attraverso pensieri, commenti, sentimenti, immagini, emozioni e auto-istruzioni; questo è ciò che definisce il dialogo interno. Per qualsiasi persona, ma a maggior ragione per un atleta, sono molto importanti il “cosa si dice” ed il “come se lo dice”; una buona gestione del proprio dialogo interno ed un controllo efficace dei propri pensieri può essere di grande aiuto per raggiungere i risultati desiderati.




Nel trail running, come in un qualsiasi sport di resistenza, un'adeguata padronanza delle abilità sopra elencate permette all’atleta di potenziare la capacità di gestione allo stress, capacità di affrontare la fatica ed il dolore, capacità di gestire l’ansia pre-gara e quella in gara.
Nella pallavolo il controllo mentale e la gestione dello stress migliorano l'esecuzione tecnica e potenziano le capacità attentive necessarie ad un ottimale sviluppo della tattica e del sistema di movimento/gioco di squadra.

L’allenamento delle abilità mentali non ha l’obiettivo di trasformare l’uomo in un campione perfetto, bensì, quello di analizzare i suoi bisogni, le sue aspettative, le sue motivazioni, aumentare la conoscenza di sè, la sua autostima per condurlo alla piena realizzazione delle proprie potenzialità in tutti i campi della vita, non solo in quello sportivo.


Il presente post fa riferimento all'articolo "le abilità mentali nel trail running" di Valeria Varello, Psicologa dello sport & Psicologa del lavoro e delle organizzazioni

Borrowed time

La cosa più preziosa che puoi ricevere da chi ami è il suo tempo.
Non sono le parole, non sono i fiori, i regali. È il tempo.
Perché quello non torna indietro e quello che ha dato a te è solo tuo, non importa se è stata un’ora o una vita.
David Grossman




Un corto pixar non per  tutti