"Orimbelli: S'accomodi Fracchia... Fracchia, siccome ormai tutti sappiamo che lei è un mediocre, ma cosa dico mediocre? Lei è la quinta essenza della mediocrità!
Belva Umana: ...
Orimbelli: Ehm, no, giusto? Se sbaglio mi corregga! Lei tace, quindi acconsente: lei è un mediocre...
Belva Umana: ...
Orimbelli: E siccome dobbiamo lanciare un prodotto, al cioccolato, che soddisfi un po' il gusto del consumatore medio, che vorremmo chiamare "Il Sempliciotto", ecco; lei che è un mediocre, li assaggerà tutti, e ci dirà, quale le piace di più!
Dal film "Fracchia, la belva umana"
L'idea di questo articolo è nata grazie all'intervento di Simone Di Tommaso, coach della scuola di beach volley "Beach Project". Come sempre nessuna pretesa di scientificità, ma solo considerazioni personali.
Potrete trovare il testo nella sue veste ufficiale sulla pagina della scuola e, per la precisione, cliccando qui.
Mi si sono intrecciati i
diti
ovvero: si fa presto a
dire Mental Coaching!
Quando il coach della beach
volley project mi ha chiesto di parlare della mia esperienza non
credo pensasse che avrei citato Paolo Villaggio per parlare di Mental
Coaching!
Rischi del mestiere.
Per i meno giovani: “Mi si
sono intrecciati i diti, me li streccia?” è uno dei tormentoni del
ragioniere Giandomenico Fracchia, personaggio ipertimido, goffo e
servile ben oltre il limite di caso patologico di Paolo Villaggio.
Cosa c'entra con il mental
coaching? Ve lo spiego subito raccontandovi la mia esperienza attiva
nei due sport che prediligo: pallavolo e corsa (trail running per
essere precisi!)!
Nel corso degli ultimi anni
sia il mondo del podismo che quello del volley sono stati
attraversati da svariate innovazioni, tanto che un podista di ieri
avrebbe difficoltà a riconoscersi nell’attuale momento storico e
un pallavolista di ieri ha maggiori difficoltà di lettura e
conoscenza del gioco di quelle che pensa di avere (permettetemi la
polemica).
La più giovane innovazione
riguarda, per l'appunto, l’allenamento mentale!
Quando sento parlare di
mental coaching, mi imbatto spesso in una tesi un po' superficiale:
tutti possono seguire un
programma di allenamento mentale
Non è mia intenzione
smontare questa tesi, anche perché non la considero sbagliata, ma
incompleta!
Praticare o allenare sport di squadra e
non mi ha portato, per forza di cose, a dover incontrare, scontrare o
imparare a conoscere compagni di squadra, avversari o i miei stessi
limiti e capacità.
Non potrebbe essere più banale
affermare che esistono migliaia di profili psicologici diversi e
altrettanti modi di preparare e affrontare le competizioni.
Mi passerete, pertanto, 2 affermazioni
altrettanto banali:
- ogni allenatore ha una sua ricetta di allenamento, ma ogni bravo allenatore la modifica per ottenere il miglior rendimento possibile dal suo atleta;
- tutti gli atleti possono migliorare, ma non tutti possono diventare campioni.
Se quanto detto sopra non si verifica o
non viene riconosciuto da un allenatore, per quanto potranno essere
ben fatti, i suoi allenamenti risulteranno comunque inutili perché
non tarati sull'atleta.
A maggior ragione questo concetto è
valido per una materia nuova e ancora inesplorata come il mental
coaching.
Quando si parla di allenamento mentale sia l’atleta che l’allenatore spesso utilizzano ricette
preconfezionate che non necessariamente producono sul singolo gli
stessi effetti che hanno prodotto su altri.
In altri termini:
Tutti possono seguire un
programma di allenamento mentale,
ma il giovamento sarà
proporzionale all’equilibrio del soggetto
È veramente ottimistico credere che una
persona non equilibrata riesca a seguire un piano di allenamento
mentale.
Bisogna stabilire una serie di relazioni fra le
caratteristiche che deve avere una personalità equilibrata e quelle
che si cerca di allenare con un allenamento mentale. Se il soggetto
di base non le possiede per nulla è dura allenare qualcosa partendo
da zero!
Per allenare la concentrazione è
necessaria una forza di volontà anevrotica, per allenare la
determinazione è necessaria la forza di carattere, per allenare la
sicurezza è necessaria l’autostima, per allenare il rilassamento è
necessaria la calma etc.
E qui torniamo al ragionier
Fracchia: allenereste la determinazione del ragioniere??
È anche ottimistico sperare
di usare la dimensione sportiva per “creare” queste
caratteristiche positive in persone che non le hanno, soprattutto
nell’amatore: si fa sport per poche ore alla settimana, mentre si
vive per 24 ore al giorno!
Lo sport di resistenza o
l'attività in gruppo/squadra può essere un utile strumento per
migliorare la personalità, ma dev'essere utilizzato correttamente.
L’esempio della forza di
volontà che fa Roberto Albanesi in uno dei suoi numerosi studi sulla
corsa è lampante:
"esistono molti atleti dilettanti con scarsa forza
di volontà anevrotica che nel gesto sportivo sembrano impiegare
notevoli risorse; un osservatore esterno li descriverebbe come atleti
che “sanno soffrire”, sembrano dotati di una grandissima forza di
volontà. In realtà, conosciuti nella vita di tutti i giorni,
dimostrano notevoli limiti: non sanno smettere di fumare, non sanno
mettersi a dieta se hanno qualche chilo di troppo, non sanno
affrontare situazioni banali come una visita dal dentista. È chiaro
che la loro forza di volontà nello sport è di tipo nevrotico, cioè
finalizzata a un risultato che la mente vuole perseguire a tutti i
costi.
Su questi individui un
programma di allenamento mentale può essere pericoloso o del tutto
inutile in quanto potrebbero abbandonare lo sport quando la nevrosi
ha termine, cioè quando “non gli interessa più”. Viceversa, se
si rende edotto l’atleta dei propri limiti caratteriali, lo si può
indirizzare, tramite lo sport, allo sviluppo di un’ottima forza di
volontà anevrotica."
Questo provoca enormi benefici
all'atleta soprattutto “fuori dal campo”: a differenza
dell’allenamento fisico, quello mentale non si dimentica.
Chi è
calmo lo resta per tutta vita
Attenzione: chi ha bisogno di esercizi
continui per rimanere calmo è perché alla fine calmo non è. Lo
dimostrano tutti quei soggetti che si affidano a tecniche e filosofie che fanno intervenire quando la loro vera natura li
porta su terreni negativi. Occorre, quindi, distinguere fra:
- soluzioni sintomatiche
- soluzioni causali
Il paragone con i farmaci è ovvio. Se
ho una malattia posso curarne i sintomi (ma non le cause) oppure
andare a fondo e colpire le cause (e i sintomi spariranno). La prima
soluzione è interessante, ma presenta tutta una serie di problemi
facilmente intuibili, il primo dei quali è che è attuabile solo se
le cause se ne vanno da sole altrimenti dovrò imparare a convivere
con la malattia.
Ci sono moltissimi individui che
adottano soluzioni sintomatiche ritenendole causali. Un esempio è
offerto da tutte quelle tecniche o stili di vita che dovrebbero
rendere calma la vita del soggetto. Molto spesso si scopre che
quotidianamente la persona vive in un meccanismo a due stadi:
dapprima parte lo stress (il lavoro, la moglie, i figli, la suocera,
i rapporti con il vicino e mille altre cause), appena il soggetto lo
avverte prende la sua medicina e si calma. Lui è veramente convinto
che la sua medicina sia causale, mentre non si rende conto che è
sintomatica. Lo stress parte comunque e, come insegnano i principi di
neurobiologia, attiva tutta una serie di meccanismi negativi.
Il problema è che al soggetto sembra
impossibile eliminare lo stress, l’ansia, la depressione o altri
fattori negativi della vita: se li tiene e usa le sue meravigliose
tecniche per limitare i danni.
L’alternativa è (e si può, visto
che ci sono individui che ci riescono) eliminare stress,
arrabbiature, depressioni, ansie, stanchezze etc. Ovviamente occorre
trovare soluzioni causali.
Un allenamento mentale basato su
esercizi porta quasi inevitabilmente a soluzioni sintomatiche.
Sfruttando il fatto che la memoria mentale è molto migliore di
quella fisica di muscoli, cuore e altre grandezze fisiologiche (ogni
grandezza fisiologica si deallena in poche settimane), è possibile
sostituire al concetto di esercizio quello di prova.
Una prova è una condizione che, se
superata, produce effetti duraturi nel tempo.
Obiettivo del mental coach è
migliorare l'uomo prima che l'atleta e ciò implica anche la
conoscenza dei propri limiti e debolezze.
In sintesi: sapere dov'è un
limite è l'unico modo per poterlo spostare, ma non facciamo credere
a Fantozzi che lo trasformeremo in Rambo!
parte delle informazioni sono tratte da un lavoro di Roberto Albanesi