martedì 17 ottobre 2017

Istruzioni per vincere: Come imparare a perdere!


Il plagio è un atto di omaggio. Chi copia ammira.
 Roberto Gervaso


Il mio non vuol essere un plagio, ma vorrei riportarvi questo interessante testo sulla "sconfitta". Il post è stato scritto il 17-10-2017 da Giulia Momoli per volleyball.it ....io mi limito a riportarlo qui integralmente. In fondo trovate anche dei riferimenti se volete approfondire. Buona lettura.

Giulia Momoli
Giulia Momoli

"Non si vince sempre.
Questa è una certezza: anche i numeri uno, anche i più forti del mondo sbagliano e perdono.
Probabilmente nella tua storia di atleta e di allenatore, così come nella vita di tutti i giorni ti sarà capitato di sentirti deluso per ciò che hai fatto o ciò che non hai fatto, o per un risultato ottenuto ben lontano dalla tua aspettativa.
Succede che, anche quando hai curato ogni dettaglio lavorando sodo, le cose non vadano come avevi sognato.
Chi gioca per vincere sa che la sconfitta è parte del sistema. Anche la più cocente e dolorosa.
Anche quella che ti risuona dentro per mesi, tormentandoti.
La delusione è parte di coloro che si espongono e lottano, è un fattore comune delle persone di successo: più ambisci a raggiungere importanti risultati e più è statisticamente probabile qualche intoppo.
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Le persone che falliscono sono le persone che fanno!
Lo sport mi ha sempre fatto sperimentare picchi emozionali incredibili: da vittorie straordinarie che nutrono l’anima, a pesanti delusioni dalle quali credi di non riprenderti più.
Invece ci si riprende eccome, e non lo scrivo per sentito dire, o perché l’ho letto, o studiato.
Lo scrivo perché l’ho vissuto sulla mia pelle, e ben più di una volta! So che fa male, che brucia, ma incredibilmente nel calendario della mia mente le più crude cadute sono tuttora dei punti cardine della mia crescita come atleta e come persona.
Cadiamo. Perdiamo. Soffriamo. Queste esperienze non vengono menzionate nel nostro curriculum, ma grazie a questi fallimenti impariamo, progrediamo e ci evolviamo.
cec-volley-italia-femm-delusione1Quando pensi ad un campione o a una persona di successo, generalmente ti vengono in mente le sue medaglie, le sue epiche imprese sportive, le meravigliose vittorie, ma difficilmente pensi alle sue sconfitte, alle delusioni, alle volte in cui si è sentito affranto e sopraffatto. E magari ha pensato di mollare.
Cito qualche noto esempio di chi è stato respinto, rifiutato e ha fallito:
  • “Lei non è portata per la televisione”, Oprah Winfrey
  • Ha iniziato a parlare a 4 anni e a leggere a 9 e la sua insegnante gli ha detto: “Non sarai mai nessuno”, Albert Einstein
  • È stato licenziato dall’azienda che lui stesso aveva fondato, Steve Jobs
  • Gli hanno detto che gli mancavano l’immaginazione e le idee originali, Walt Disney
  • La sua insegnante diceva di lui: “è troppo stupido per imparare qualsiasi cosa”, Thomas Edison
  • A 15 anni fu espulso da 14 scuole, Sylvester Stallone
  • “Non ci piace la loro musica e non avranno futuro commerciale”, disse una importante casa discografica ai Beatles.
Per stare nell’ambito sportivo pensiamo alle storie di Valentino RossiFederica PellegriniUsain BoltMichael JordanLionel Messi. Leggendo le loro biografie puoi scoprire i meccanismi che permettono a questi campioni sportivi di eccellere, ma puoi anche trovare tutti i retroscena: ti renderai conto che queste persone incredibili sono necessariamente passate attraverso numerosi fallimenti prima di incontrare il loro successo.
In ogni storia ci sono momenti di grande sofferenza, non esistono grandi persone che abbiano avuto una vita facile.
Semplice? No. Automatico? Nemmeno.
Ma ci si può lavorare e lo sport coaching fornisce non solo strumenti e strategie utili a vincere, ma anche un supporto per imparare a perdere e gestire la sconfitta.
Ecco 6 passi per reagire al fallimento:
1. Accetta la sconfitta senza appellarti alla sfortuna o crearti degli alibi: vietato dare colpe ai compagni, all’allenatore, all’arbitro… anche se riscontri delle oggettività. Non ci sono persone da incolpare, ma responsabilità da assumersi e feedback costruttivi da dare. Cadere è parte integrante dell’imparare a camminare. La cosa importante è mantenere la fiducia e riprovare, questo approccio ti porta sempre più vicino al successo.
2. La sconfitta è nella gara, non nella vita: come abbiamo già detto in articoli precedenti, esamina i comportamenti tecnici, fisici e mentali che vanno migliorati o che non hanno funzionato, ma non andare mai mai mai ad intaccare la tua identità. Metterti in discussione dandoti del perdente o del fallito perché hai gestito male una partita è una scelta molto pericolosa per la tua autostima. Anche qui: valuta le tue azioni, il rendimento dei tuoi fondamentali, il tuo atteggiamento. E lavoraci.
A prescindere dall’entità della sconfitta, non perderai mai il tuo valore.
3. Prenditi cura della ferita che la sconfitta ha lasciato: trattala con riguardo. Spargici sopra la consapevolezza di chi sei, di quanto vali, di quanto hai già realizzato; nutrila della maturità che hai raggiunto come individuo e come squadra; donale quel pizzico di entusiasmo che ti ha permesso di arrivare a tutti i tuoi traguardi con l’atteggiamento da Vincente.
Italia---Rio20164. Impara a considerare la sconfitta non come un dramma, ma come una opportunità di rinascita: in termini di apprendimento la lezione che impari dopo una sconfitta viene ricordata molto più a lungo rispetto l’emozione effimera legata alla vittoria. Quando ti fermi a piangerti addosso per il tuo fallimento non cresci e non porti a casa niente di nuovo.
“Chi vince festeggia, chi perde impara.”
Dopo ogni errore hai l’occasione di perfezionarti e di diventare sempre più bravo, tendenzialmente se ci tieni a quello che fai e a come lo fai, più sbagli e più ti impegni subito dopo. In una costante ed esponenziale ottimizzazione delle tue capacità.
5. Mettici dentro le mani:
Nessuna squadra vince il campionato senza perdere qualche partita. Ovvio, dopo lo smacco nello spogliatoio c’è una grandissima delusione ma l’abilità dell’allenatore e dei giocatori sta proprio nell’analizzare l’incontro, capire ciò che non ha funzionato e allenarsi per migliorare i punti critici e confermare quelli di forza. Quindi, a bocce ferme (non quando l’emotività è ancora alle stelle!), risponditi a queste domande:
– Qual è la lezione oggi?
– Cosa imparo da questa esperienza?
– Come posso fare per migliorare?
Il segreto di chi alla fine poi vince è non darsi mai per sconfitti e tornare più forti ed agguerriti di prima. Considera che ogni battuta d’arresto è un’occasione per imparare qualcosa di nuovo.
6. Riposati e riparti:
Stacca la spina, riposati, ricaricati e al primo allenamento disponibile riparti con i tuoi nuovi obiettivi mettendo il focus su quello che hai analizzato e che va migliorato. Non c’è niente di meglio che darsi da fare per archiviare una delusione. Più migliorerai, più saranno le volte che vincerai.
“Nella mia vita ho sbagliato più di novemila tiri, ho perso quasi trecento partite, ventisei volte i miei compagni mi hanno affidato il tiro decisivo e l’ho sbagliato. Ho fallito molte volte. Ed è per questo che alla fine ho vinto tutto”.
Michael Jordan
Come sempre ti invito a consultare il mio sito internet www.giuliamomoli.com e rimango a tua disposizione all’indirizzo g.momoli@ekis.it
A presto,
Giulia"

martedì 10 ottobre 2017

Pensa alla prossima palla!

Dicono che ci sia una differenza tra la temperatura reale e quella percepita, ma nella "sopportabile pesantezza dell'essere" la misura reale è senza dubbio il peso che percepiamo. 
Fausto Cercignani, Simply Transcribed


E' un po' di tempo che ho in testa questo post, ma non ho mai trovato il momento adatto per scriverlo: non perché fossi impegnato, ma l'argomento è tanto pesante quanto delicato e parlarne nel momento sbagliato potrebbe infastidire più di qualcuno.
Già il fatto di scrivere una frase come quella che avete appena letto dà il senso della gravosità con cui si può percepire l'argomento di questo post: l'errore!

Proprio lui. 
Anzi, per essere più precisi vorrei provare a discutere del modo malsano con cui si vive l'errore nel mio sport.

La pallavolo, si sa, è uno sport in cui l'errore fa la differenza tra una sconfitta o una vittoria, tra un top-player e uno che potrebbe diventarlo (e magari non lo diventerà mai).

Osservando me e tanti altri giocatori nel corso degli anni ho potuto notare alcune linee di pensiero sulla gestione degli errori.
Quella classica ha a che fare la tecnica. Gli allenatori o i giocatori che perseguono questa linea affermano che eseguendo bene un gesto tecnico si avrà come diretta conseguenza un'azione priva di errori. Il problema principale di questo concetto è che non tutti gli errori sono tecnici e, soprattutto, non basta fare tutto bene per vincere (anche se aiuta molto): bisogna anche fare qualcosa meglio dell'avversario.
Per risolvere l'errore di tipo tecnico ci sono 2 strade tra loro in antitesi:
- tante ripetizioni di un gesto fino a farlo diventare automatico e corretto;
- poche ripetizioni esatte di un gesto per aumentare il livello qualitativo dello stesso.
Scommetto che almeno una di queste due strategie l'abbiano provata sulla propria pelle tutti i pallavolisti!

Personalmente, sbagliando molto, le ho provate tutte e due!!! Devo dire che funzionano entrambe, ma di solito i giocatori(almeno quelli che sentono il bisogno di migliorarsi) preferiscono la prima per un motivo banale: lavorando di più ci si mette in condizione di sentirsi la coscienza pulita. Il concetto è: "ho lavorato tanto, di più non potevo fare, quindi mi sento a posto".
Non voglio dire di essere d'accordo o di pensare che questa sia la strada migliore, tutt'altro, ma per quanto possa sembrare banale e sciocco, pensarla in questo modo rende più tranquilli i giocatori e quindi li fa rendere meglio. Ovviamente anche l'allenamento aiuta, ma ad ogni modo non è di questo che parleremo. Oggi vorrei concentrarmi solo sull'aspetto mentale del "percepire" gli eventi e in particolare del "percepire" l'errore, vero soggetto di questo post.

L'errore o si subisce o si usa: non c'è altra storia. 
Apro un parentesi.
Spesso si chiede ai giocatori di pensare alla "prossima palla": una delle frasi più imprecise della storia del coaching perché cambia valore a seconda del contesto. Innanzitutto, se ammettiamo che quel che è andato è andato "pensare alla prossima palla" potrebbe essere una frase utilissima quando si fa punto piuttosto che quando lo si perde. Provate a pensarvi dopo aver fatto un colpo eccellente, magari uno di quei colpi da maestro che capitano una volta nella vita: cuore accelerato, battito a mille, cervello che fatica a focalizzare e magari, per i più timidi, anche la sensazione indiscreta di aver tutti gli occhi puntati addosso (cosa che 2 secondi prima nemmeno percepivano)...non mi sembrano proprio le condizioni ideali per approcciarsi all'azione seguente, che, oltretutto, sarà un'azione di contrattacco (abbiamo fatto punto, no?) e quindi condizionata da molte più variabili rispetto ad una di cambiopalla.

Chiusa la parentesi torniamo a noi riprendendo da dove avevo lasciato: pensare alla prossima palla è un concetto che cambia valore a seconda del contesto.

Un errore è un buon sistema di insegnamento: in allenamento non dev'essere dimenticato e in partita dev'essere gestito. Sbagliare è un'esperienza di crescita.

Quando perdi, non perdere la lezione.
Dalai Lama


E' importante non passare subito alla prossima palla ma fermarsi a riflettere per un secondo su quanto è successo per evitare si possa ripetere.

Facciamo attenzione a due situazioni classiche che si verificano in partita.

1. Sentire di aver commesso un errore e percepirne fastidio è buono, ma è assolutamente vietato far vedere al nostro avversario il nostro fastidio: soprattutto nell'alto livello equivale a scavarsi la fossa da soli perché il nostro rivale sicuramente andrà a insistere sulla situazione da noi sbagliata per farci ripetere l'errore o, dall'altro punto di vista, per prendersi un altro punto! 

2. Percepire l'errore come un fastidio è quasi sempre inteso con un'accezione negativa...da cui la frase (questa volta giusta nel contesto) "pensa alla prossima palla". E' proprio su questo che bisogna lavorare. Tornando al concetto espresso dalla frase del Dalai Lama: sfruttiamo l'esperienza e rendiamo il futuro positivo.

Come si fa? Bella domanda. 
La risposta (utopica?) è molto semplice: bisogna cambiare mentalità. Siccome questa frase mi suona veramente vuota cerco di esprimere meglio il mio pensiero: 
un amico mi raccontava di una sua esperienza giovanile in una classe di  una scuola statunitense (sì, ogni volta che si parla di mentalità e approcci positivi si finisce in USA....sarà ora di studiarli seriamente questi americani???). La professoressa aveva dato un compito uguale a tutti i ragazzi che, diligentemente, si erano messi a rispondere alle varie domande. Vedendo il suo compagno di banco in difficoltà il mio amico, da buon italiano, gli ha allungato il foglio con le risposte per farlo copiare. La reazione del compagno è stata pressoché fantascientifica per noi: piccato allontana il foglio delle risposte e continua a non rispondere fino alla consegna del compito. 

- Primo risultato(immediato): voto bassissimo. 
- Secondo risultato: il professore si è messo a rispiegare al suo compagno quello che aveva sbagliato, cercando la modalità comunicativa migliore, fino a che il ragazzo  non lo ha fatto suo.
- Risultato finale(nel lungo periodo): uno studente preparato.

Cambiare mentalità significa cambiare il modo di allenare. L'errore non dev'essere un mostro da cui scappare, ma un passaggio necessario verso il perfezionamento.

Ricercare questo tipo di approccio produce giocatori che:
1. ricercano il perfezionamento senza imporsi limiti mentali
2. non subiscono l'errore e quindi diventano meno attaccabili dagli avversari
3. migliorano a più ampio raggio: questo tipo di approccio è valido per gli aspetti tecnici così come per quelli tattici

Quest'anno in squadra ho l'occasione di avere due giocatori made in USA e devo dire che questo aspetto di leggerezza nell'approccio ad alcune situazioni di gioco è evidentissimo....devo ammettere, per uno dei due, che ogni tanto l'estrema leggerezza mi infastidisce un pochino perchè lo induce a complicare le giocate a discapito di qualche mio faticosissimo primo tocco, ma è giovane e si farà!!! ;-P

Tornando seri per un minuto ancora: la percezione di una situazione deriva dagli stimoli esterni che il giocatore assimila. Il processo è più facilmente modificabile con i giovani, ma ciò non esclude che anche i giocatori esperti possano beneficiarne, tutt'altro!!!! Non si smette mai di imparare...banale ma vero.

Il primo passo in questo senso, per un allenatore, è la programmazione: il coach deve sapere dove vuole portare(tecnicamente e tatticamente) la sua squadra.
Una volta stabilito l'obiettivo deve iniziare un bombardamento di stimoli positivi incentrati sul perfezionamento. Ogni processo è singolare e deriva dai caratteri di chi lo propone e di chi lo "subisce". Personalmente credo che uno degli aspetti più belli dell'allenare sia proprio quello di trovare il modo giusto di trasmettere le proprie idee ad ogni singolo giocatore.



Un invito a non incappare nell'errore contrario a quello di far pesare troppo l'errore: la superficialità.

Non sottolineare l'errore significa non riconoscere una situazione da modificare. Errore clamoroso.

Non dar peso a nessun errore non crea giocatori, ma un gruppo di gente che magari si diverte insieme e che sicuramente non migliora minimamente rispetto a quanto dovrebbe.

Non sottolineare il peso di un errore induce l'atleta a non capire le priorità: cosa è importante? "Quando" è importante? Perché qualcosa è più utile o semplicemente utile? Etc.

L’esperienza non è ciò che accade a un uomo. E’ ciò che un uomo fa di ciò che accade a lui.
Aldous Leonard Huxley

Un'ultima storiella personalissima. 
Qualche anno fa un mio collega del corso per allenatori di primo grado mi fece una domanda che mi diede un po' da pensare: "ho una giocatrice, libero, che non sopporta sbagliare. Ogni volta che fa un errore si senta affranta e di fatto smette di giocare. Cosa posso fare?" 
Forse ora riesco a integrare meglio la risposta, che già non era molto distante da quanto vado a scrivere. Il problema, in questo caso, riguarda la mancanza di esperienza, ma per imparare basta guardare "chi lo ha già fatto". Tutti commettono errori, anche i giocatori di alto livello. Far vedere che anche i top player sbagliano può essere sicuramente un modo per far capire che l'errore fa parte del gioco. Ovviamente va fatto in maniera poco approfondita, limitandosi più o meno al concetto che ho appena espresso senza indagare troppo e sviare verso altri lidi troppo particolari: anche la valutazione di uno sbaglio e il peso di uno stesso tipo di errore devono essere rapportati, così come le abilità tecniche o tattiche, al livello di gioco e all'età del singolo atleta. Un palleggio a 13 anni non è lo stesso palleggio a 30 anni seppur sempre di palleggio si parla: idem con l'errore.

Ricorda coach:
Se tratti una persona come se fosse ciò che dovrebbe e potrebbe essere, diventerà ciò che dovrebbe e potrebbe essere.
Johann Wolfgang Goethe