domenica 20 maggio 2018

L'ultimo kilometro

"Un solo momento ripaga tutta la fatica di oltre 10 ore di corsa!"



Il blog è stato silente per un po', ma non a caso. Erano necessari silenzio, rispetto e attenzione per questa stagione sportiva che mi ha dato molto e a cui ho dato, nel mio piccolo, tutto.

Ho osservato, ascoltato, ragionato su quello che mi circondava...

Ho imparato molto...

Ho visto molte cose degne di nota, piccoli gesti da cui scaturiscono grandi emozioni

Ho imparato il significato della parola "costanza" capendo che non è assolutamente legata al risultato

Ho anche capito che il mio sport non è poi così differente come vuol far credere...sono le persone che fanno la differenza: quelle giuste bisogna tenersele strette, le altre no.

Ho tratto molti spunti che vorrei condividere ...andavano assimilati...bisognava aspettare il tempo giusto perché maturassero i pensieri: come per la buona frutta!

Si vive di momenti...si vive per raggiungere l'ultimo kilometro e correrlo nel migliore dei modi,
senza ossessioni,
con la consapevolezza di aver fatto tutto il possibile per arrivarci preparati al meglio (che non vuol dire per forza "bene"),
godendeselo con quella goduria pura, vera, come di un bambino al luna park (e questa è una citazione che ha lasciato il segno!)

La corsa ... il volley ... i miei sproloqui ... si ricomincia con tanti nuovi argomenti e con tante cose su cui ragionare!

...perché l'ultimo kilometro è il primo passo verso una nuova sfida che ancora non conosciamo!

PS: Spero proprio che riusciate a vedere questo video, altrimenti lo potete trovare sul profilo facebook di Umbria Radio....
l'ultimo km della Sir Safety Perugia: SCUDETTO
https://www.facebook.com/umbriaradioinblu/videos/2036027653092003/

venerdì 23 marzo 2018

Privacy Sociale

"social network: Con l’espressione social network si identifica un servizio informatico on line che permette la realizzazione di reti sociali virtuali. Si tratta di siti internet o tecnologie che consentono agli utenti di condividere contenuti testuali, immagini, video e audio e di interagire tra loro.Generalmente i s. n. prevedono una registrazione mediante la creazione di un profilo personale protetto da password e la possibilità di effettuare ricerche nel database della struttura informatica per localizzare altri utenti e organizzarli in gruppi e liste di contatti. Le informazioni condivise variano da servizio a servizio e possono includere dati personali, sensibili (credo religioso, opinioni politiche, inclinazioni sessuali ecc.) e professionali. Sui s. n. gli utenti non sono solo fruitori, ma anche creatori di contenuti. La rete sociale diventa un ipertesto interattivo tramite cui diffondere pensieri, idee, link e contenuti multimediali.[...]"
Enciclopedia Treccani Online


Mi ha dato molto da pensare la reazione sorpresa delle persone in merito allo "scandalo facebook/cambridge analytics" di questi giorni.
In primis cerchiamo di fare un po' di chiarezza:



Tanto per essere più chiari, tornando alla definizione dell'enciclopedia Treccani:

"contenuti testuali, immagini, video e audio" -> DATI

"Le informazioni condivise variano da servizio a servizio e possono includere dati personali, sensibili (credo religioso, opinioni politiche, inclinazioni sessuali ecc.) e professionali" -> ALTRI DATI

"ipertesto interattivo tramite cui diffondere pensieri, idee, link e contenuti multimediali" -> ANCORA DATI

Il problema di fondo è spiegato nel video: chi usa i dati deve far guadagnare chi raccoglie i dati.

I Social Media, oggi, rappresentano un luogo di ascolto e di interazione con i consumatori, costituendo una nuova fonte di idee per i dipartimenti di ricerca e sviluppo delle aziende.

Proprio per questo si sta sempre più sviluppando la Social Media Intelligence, sezione della Digital Analytics, che si occupa dell’individuazione dei dati e delle informazioni rilevanti all’interno dei canali Social e che ha lo scopo di fornire insight sulle percezioni degli utenti, misurare i risultati delle iniziative commerciali e programmare così i nuovi investimenti.

Le tecniche di Analisi forniscono un livello dettagliato e universale delle informazioni e hanno diversi obiettivi:

- Trasformare i dati di base in informazioni, insight e raccomandazioni mirate rispetto alle esigenze di ogni figura aziendale
- Verificare il raggiungimento degli obiettivi aziendali prefissati
- Fornire insight chiari per il marketing
- Differenziare le informazioni rilevanti in base allo stakeholder

tradotto: dare al consumatore quello di cui ha bisogno. Oppure, nel suo aspetto più subdolo, laddove il cliente non abbia particolari bisogni, convincerlo del contrario e dargli quello di cui crede di aver bisogno. Un esempio per rendere un po' meno polemica e di matrice complottista quest'ultima affermazione è il concetto della "MODA".

Tornando a noi...
Nella società moderna chi possiede più dati/informazioni sui competitors e sulla popolazione ha maggiore potere.
Le informazioni hanno un importante valore commerciale e politico ed è facilissimo reperirle per chiunque e in particolar modo per chi ha creato o possiede i canali su cui queste viaggiano: tutto o quasi è tracciato o tracciabile.

Social networks, gps, app...sono solo alcuni esempi...

Per noi gente comune il punto non è nascondere le informazioni, ma sapere di essere parte di un sistema più ampio, non per forza negativo, eredità della società globalizzata.

Conosciamo e informiamoci...approfittiamo dei vantaggi della connessione sociale!!!

Se la conoscenza può creare dei problemi, non è tramite l’ignoranza che possiamo risolverli.
Isaac Asimov

Un ultimo consiglio da vecchio:
informiamoci anche sulle fonti ed elaboriamo i dati con la nostra testa, perché

L’informazione non è conoscenza.
Albert Einstein

martedì 20 febbraio 2018

#ChangeTheGame

"Che io possa vincere, ma se non riuscissi che io possa tentare con tutte le mie forze."
Giuramento degli atleti Special Olympics 


Per chi non lo conoscesse, Special Olympics è un programma internazionale di allenamento sportivo e competizioni atletiche per le persone, ragazzi ed adulti, con disabilità intellettiva. Nel mondo sono oltre 170 i paesi che adottano il programma Special Olympics e l'Italia è uno di essi.

Il video che vi ho proposto è solo un piccolo esempio di quello che lo sport può fare per questi ragazzi e, più in generale, per favorire l'inclusione e  la conoscenza reciproca tra i cosiddetti "normodotati" e le persone con disabilità.

In questo caso è stato organizzato un evento semplice chiamando solo un atleta con un obiettivo ben chiaro:
"il desiderio che quanto fatto possa far sorridere il cuore di tanti e possa ripetersi, in altre forme, circostanze, occasioni... insomma, che sia solo il primo passo del lungo e bellissimo cammino verso lo #SportUnificato!"

D'altronde
Anche un viaggio di mille miglia inizia con un primo passo.
 Laozi

Lo sport può e deve essere veicolo di inclusione in ogni suo livello, manifestazione ed evento: ricordiamocelo sempre soprattutto noi "professionisti del settore"!
Usiamo la potenza dello sport per creare un mondo migliore



venerdì 15 dicembre 2017

La giustizia

Quanno un giudice punta er dito contro un
povero fesso nella mano strigne artre tre dita
che indicano se stesso.
A me arzà un dito pe esse diverso
me fa più fatica che spostà tutto l'Universo.
Alessandro Mannarino, Bar della rabbia


Tornano i conti??

lunedì 11 dicembre 2017

Parole esatte dal volgo

Le parole erano originariamente incantesimi, e la parola ha conservato ancora oggi molto del suo antico potere magico. Con le parole un uomo può rendere felice un altro o spingerlo alla disperazione, con le parole l’insegnante trasmette il suo sapere agli studenti, con le parole l’oratore trascina l’uditorio con sé e ne determina i giudizi e le decisioni. Le parole suscitano affetti e sono il mezzo generale con cui gli uomini si influenzano reciprocamente.
Sigmund Freud

Pensiero veloce.
E' difficile descrivere:
perché è difficile capire le persone
e poi perché è difficile trovare le parole esatte


Fortunatamente esistono parole che da sole hanno il potere di esprimere un intero concetto con chiarezza.
A me succede spesso, nella mia testa, di arrivare alla parola di cui ci spiega bene il significato il seguente video:



fortunatamente la ricerca di sinonimi socialmente accettabili mi sta salvando, ma non so se durerà...d'altronde, a che pro??

E' che ancora non sono così incauto....

Tranquilli...si gioca....ma neanche troppo...

martedì 5 dicembre 2017

In panchina con Seneca: lucidità nei momenti chiave

Sono più le cose che ci spaventano di quelle che ci minacciano effettivamente, Lucilio mio, e spesso soffriamo più per le nostre paure che per la realtà. […] Non so perché le paure infondate turbino di più; quelle fondate hanno un loro limite: tutto ciò che è incerto è in balia delle congetture e dell’arbitrio di un animo terrorizzato. Perciò niente è così dannoso, così irrefrenabile come il panico; le altre forme di timore sono irrazionali, questa è dissennata
Seneca, Epistulae morales ad Lucilium



Uno degli aspetti più deleteri di uno sport con grande componente tattica è la mancanza di lucidità! Partendo dal presupposto che la correzione degli aspetti tattici, secondo me, è secondaria rispetto a quella degli aspetti fisici e tecnici, va detto che la mancanza di lucidità influisce su tutti e tre gli ambiti in maniera parimenti importante.

Le cause principali che portano a momenti di crisi e mancanza di lucidità derivano da

- fatica fisica. Arrivare al punto culminante di un evento sportivo senza l'adeguata preparazione fisica ci può portare ad avere cali di attenzione e appannamento. Trattasi di semplici reazioni biologiche (diminuzione o assenza di sostanze che contribuiscono a tenere attive le cellule celebrali e quelle di tutti gli organi che apportano informazioni ai nostri centri nervosi) associate allo stress del "non riuscire" a compiere un determinato gesto per mancanza di energie

- stress mentale. In questo caso i fattori sono molteplici, ma possiamo raggruppare anch'essi in due tipologie: esterni e interni. Quelli esterni derivano dal giudizio altrui o da distrazioni legate solo marginalmente all'evento sportivo (relative al marketing, per esempio, o l'organizzazione di viaggi e trasferte solo per dirne un paio). Poi ci sono i fattori "interni", quelli veramente distruttivi: reazioni intime legate a tutti i tipi di giudizi e commenti, confronti e paragoni, autoesigenza e pensieri negativi.

Scrive Seneca: "Non so perché le paure infondate turbino di più"...io credo che non definendo concretamente un problema sia impossibile cercare una soluzione reale. Prima di parlare di questi aspetti mentali eliminiamo in maniera rapida e senza pretese troppo scientifiche tutte le altre.

Banalmente, per diminuire e limitare lo stress derivante dalla fatica fisica basterebbe arrivare più preparati alla gare, ergo: allenare il corpo in maniera migliore.
Apro una parentesi: ho scritto volutamente "allenare in maniera migliore" piuttosto che "allenare di più" perchè non è importante la quantità del lavoro che si fa se in esso non c'è qualità!
Oltretutto, in un lavoro di qualità le componenti del riposo e del recupero hanno lo stesso valore della componente di "azione"!

Continuando a ragionare banalmente possiamo classificare lo stress mentale derivante da fattori esterni come irrilevante o, quantomeno, un male necessario: per portare avanti un'attività sportiva più o meno importante servono soldi e bisognerà mettere in conto un numero minimo di spostamenti (a meno che non abbiate una palestra in casa) e interventi legati al reperimento dei fondi. L'unica accortezza che un allenatore dovrebbe osservare e che tutti questi elementi non interferiscano con lo spazio dedicato agli allenamenti e, soprattutto, al tempo libero dell'atleta. Un atleta che si sente soffocato non rende, è distratto e sposta le sue attenzioni verso la ricerca di spazi in cui rilassarsi....tendenzialmente, non potendoli trovare, se li ritaglierà rallentando la spinta nel corso degli allenamenti abbassando la qualità del lavoro fisico, tecnico e tattico.

Finiti i discorsi banali si nota immediatamente come la problematica principale legata alla riuscita della performance sportiva e in cui si può intervenire in maniera più massiccia sia strettamente connessa agli equilibri interiori dell'atleta e alle sue preoccupazioni. Come detto all'inizio, questo aspetto dev'essere integrato con quelli tecnici, fisici e tattici per migliorare la performance, ma non può essere l'unica base di lavoro, seppur sia una molla rilevante per fare il salto di qualità.

Secondo il pastore del Massachusetts James Gordon Gilkey esisterebbero cinque categorie di preoccupazioni, quattro delle quali immaginarie. La quinta, quella delle preoccupazioni con un fondamento, ricoprirebbe solo l’8% del totale, eppure si ragiona e si fanno valutazioni secondo la proporzione contraria.

Io sto proponendo il discorso in salsa sportiva, ma ciò non toglie che questo sia assimilabile a tutti gli aspetti della vita. A tal proposito, lo stesso Seneca, che sicuramente non può esser considerato un mental coach sportivo, nella lettera numero 13 delle sue epistole a Lucillo, individuando "la tendenza dell’essere umano a sopravvalutare i pericoli, a temere senza motivo e a inventarsi paure inesistenti, auto-infliggendosi sofferenze inutili e ansia" scrive:

"Certe cose ci tormentano più del dovuto, certe prima del dovuto, certe assolutamente senza motivo; quindi, o accresciamo la nostra pena o la anticipiamo o addirittura ce la creiamo. […] Ti raccomando solo di non essere infelice anzitempo: le disgrazie che hai temuto imminenti, forse non arriveranno mai, o almeno non sono ancora arrivate"



In parole povere, la maggior parte delle nostre paure e del nostro stress è autoindotto. Nonostante il consiglio di Seneca che esorta Lucillo a non preoccuparsi prima del dovuto, si percepisce che anche all'epoca del filosofo romano (oggi diremmo spagnolo viste le sue origini andaluse) l'uomo avesse una forte tendenza a pensare in negativo. 
In realtà, pensare negativo è un processo naturale di autodifesa: 

1. pensare il peggio, come aspettarsi di fallire, di essere traditi o di essere delusi è come stipulare una polizza di assicurazione per le emozioni. Chi non ha mai detto o pensato: “quando mi aspetto il peggio, non resterò deluso se le cose andranno male davvero”. 
2. E’ più facile predire il peggio che il meglio. Fare una brutta partita non comporta molti sforzi nella sua preparazione: possiamo riuscirci sempre facilmente!
3. Simile al punto precedente, ma con una sfumatura di separazione, è il discorso ALIBI. Pensare negativo ci fornisce l’alibi per non provare a lavorare sodo per qualcosa. 
4. Un’altra forma di pensiero negativo è sperare che le cose buone non accadano a coloro che conosciamo. Ciò evita l’onere di congratularci con gli altri del loro successo. Oltretutto questa è una forma velata di auto paragone. Siamo gelosi quando le cose positive accadono agli altri, ma è più facile sperare che quelle cose non accadano a loro piuttosto che impegnarsi perchè accadano a noi. Aggiungerei anche che "sbattersi" per raggiungere il livello di chi fa le cose meglio di noi è molto tosto e non fa per tutti: meglio sperare nell'altrui fallimento.

Ma come dominare questi aspetti e migliorare la nostra performance o quella del nostro atleta?
Per la mia personale esperienza direi che la soluzione è la conseguenza di un lavoro di squadra altamente comunicativo (dove per comunicazione non si intende solo il semplice "parlare") tra l'atleta, l'allenatore e lo staff sui seguenti aspetti: 

- Autostima: conferisce all’atleta la consapevolezza di avere le doti per raggiungere il successo, donando anche la capacità di rialzarsi a testa alta.
Troppo spesso ho sentito la frase “E’ stata solo fortuna” sia in seguito ad un successo che ad una sconfitta. Smettiamola di ripetere questa sciocchezza e iniziamo a dar credito alle cose buone che facciamo. Una frase che mi piace tantissimo e che mi ripeto spesso, soprattutto quando gli obiettivi sono lontani e non ho voglia di allenarmi, è

La fortuna è ciò che accade quando la preparazione incontra un'opportunità

Ci credete se vi dico che anche questa frase è di Seneca?
La fortuna è relativa. La preparazione no. A maggior ragione la fortuna non può essere la spiegazione di una sconfitta. E così passiamo al prossimo punto:

- Consapevolezza: ciò vuol dire, capire al meglio la causa della difficoltà che si sta attraversando e i suoi effetti sull'atleta
Guardiamo in faccia la realtà: non tutte le cose vanno come vogliamo, anzi! Ma non disperiamo perché è altrettanto vero che:
a. un cambio di programma con vincente è una soluzione efficace e soddisfacente, non un errore di programmazione
b. Le sconfitte sono temporanee: solo perché ci sentiamo giù e depressi non vuol dire che lo saremo per  sempre, non lasciamo che una sconfitta rovini tutta la vostra vita
c. sbagliare non vuol dire essere dei falliti. La sbaglio è semplicemente il sistema migliore che abbiamo per crearci "esperienza": impariamo ad amare l'opportunità di crescita derivante dall'errore, ma al tempo stesso odiamo l'errore (in altre parole: sbagliamo il numero di volte necessario ad imparare, ma mai allo stesso modo)! 

- Autocontrollo: per ragionare con calma su ogni decisione è necessario avere la giusta capacità di dialogare con se stessi. Ci ascoltiamo abbastanza? Siamo onesti con noi stessi? Siamo esigenti ma non troppo severi? Ci vuole tempo per riuscire a trovare il proprio equilibrio interiore: parlare con il nostro allenatore o lo staff e rielaborare le sensazioni da soli è il metodo più veloce per sviluppare questa capacità; essere in situazione di difficoltà è il modo più efficace per allenarla.
Collegandomi al punto precedente sulla consapevolezza: le sconfitte sono temporanee così come lo sono le vittorie. Non si vive di ricordi se si fa sport per lavoro o con un fine di performance ideale. Non sediamoci e non esaltiamoci troppo. Il salto di qualità è conseguenza di un lavoro quotidiano continuo nel tempo, perciò bisogna evitare di fare scelte errate dettate dal solo istinto: programmazione, low profile e tanta calma sono la chiave del successo.

- Forza di volontà: qui si potrebbe aprire un mondo, ma userò la mia forza di volontà per non farlo. Un solo concetto: per sviluppare la forza di volontà occorre imparare a conoscere al meglio noi stessi e porsi gli obiettivi giusti!
Come si fa?? Una tecnica che suggerirei potrebbe essere quella del cosiddetto schema S.M.A.R.T.. L'acronimo è presto spiegato. Ogni obiettivo deve essere:

S: Specifico e in positivo: l’obiettivo non deve mai presentare un carattere generico e deve essere posto nel senso positivo (esempio: “Devo essere veloce”).

M: Misurabile: questa caratteristica renderà i risultati raggiunti più facili da constatare e analizzare. In tutto quello che si vuol fare è importante ottenere prove tangibili e verificabili dei risultati ottenuti.

A: Ambizioso: solo se estremamente ambizioso, l’obiettivo sarà in grado di motivarci a dovere e di renderci capaci di superare realmente i nostri limiti.

R: Realizzabile: un obiettivo deve però essere anche conquistabile, perché, una volta conquistato, potrà accrescere la nostra autostima e le nostre convinzioni.

T: Tempificato: non prefiggerci un qualche intervallo di tempo, entro cui dover completare il nostro obiettivo, può essere causa di fallimento.



Tecniche e soluzioni a parte aggiungerei un ultimo appunto: scegliere di star bene con noi stessi e godersi il presente accogliendo quello che si ha e si ottiene è la conditio sine qua non per approcciarsi ai suddetti concetti! 

E' verosimile che in futuro accada qualche male: ma non è proprio sicuro. Quanti eventi inaspettati sono accaduti! E quanti, attesi, non si sono mai verificati. E se anche capiterà, a che giova andare incontro al dolore? Ti dorrai a sufficienza quando il male arriverà: frattanto augurati il meglio. […] Anche se il timore avrà più argomenti, scegli la speranza e metti fine alla tua angoscia
Seneca, Epistulae morales ad Lucilium
(...sì, sempre lui!)

martedì 17 ottobre 2017

Istruzioni per vincere: Come imparare a perdere!


Il plagio è un atto di omaggio. Chi copia ammira.
 Roberto Gervaso


Il mio non vuol essere un plagio, ma vorrei riportarvi questo interessante testo sulla "sconfitta". Il post è stato scritto il 17-10-2017 da Giulia Momoli per volleyball.it ....io mi limito a riportarlo qui integralmente. In fondo trovate anche dei riferimenti se volete approfondire. Buona lettura.

Giulia Momoli
Giulia Momoli

"Non si vince sempre.
Questa è una certezza: anche i numeri uno, anche i più forti del mondo sbagliano e perdono.
Probabilmente nella tua storia di atleta e di allenatore, così come nella vita di tutti i giorni ti sarà capitato di sentirti deluso per ciò che hai fatto o ciò che non hai fatto, o per un risultato ottenuto ben lontano dalla tua aspettativa.
Succede che, anche quando hai curato ogni dettaglio lavorando sodo, le cose non vadano come avevi sognato.
Chi gioca per vincere sa che la sconfitta è parte del sistema. Anche la più cocente e dolorosa.
Anche quella che ti risuona dentro per mesi, tormentandoti.
La delusione è parte di coloro che si espongono e lottano, è un fattore comune delle persone di successo: più ambisci a raggiungere importanti risultati e più è statisticamente probabile qualche intoppo.
sconfitta-Italia-femminile
Le persone che falliscono sono le persone che fanno!
Lo sport mi ha sempre fatto sperimentare picchi emozionali incredibili: da vittorie straordinarie che nutrono l’anima, a pesanti delusioni dalle quali credi di non riprenderti più.
Invece ci si riprende eccome, e non lo scrivo per sentito dire, o perché l’ho letto, o studiato.
Lo scrivo perché l’ho vissuto sulla mia pelle, e ben più di una volta! So che fa male, che brucia, ma incredibilmente nel calendario della mia mente le più crude cadute sono tuttora dei punti cardine della mia crescita come atleta e come persona.
Cadiamo. Perdiamo. Soffriamo. Queste esperienze non vengono menzionate nel nostro curriculum, ma grazie a questi fallimenti impariamo, progrediamo e ci evolviamo.
cec-volley-italia-femm-delusione1Quando pensi ad un campione o a una persona di successo, generalmente ti vengono in mente le sue medaglie, le sue epiche imprese sportive, le meravigliose vittorie, ma difficilmente pensi alle sue sconfitte, alle delusioni, alle volte in cui si è sentito affranto e sopraffatto. E magari ha pensato di mollare.
Cito qualche noto esempio di chi è stato respinto, rifiutato e ha fallito:
  • “Lei non è portata per la televisione”, Oprah Winfrey
  • Ha iniziato a parlare a 4 anni e a leggere a 9 e la sua insegnante gli ha detto: “Non sarai mai nessuno”, Albert Einstein
  • È stato licenziato dall’azienda che lui stesso aveva fondato, Steve Jobs
  • Gli hanno detto che gli mancavano l’immaginazione e le idee originali, Walt Disney
  • La sua insegnante diceva di lui: “è troppo stupido per imparare qualsiasi cosa”, Thomas Edison
  • A 15 anni fu espulso da 14 scuole, Sylvester Stallone
  • “Non ci piace la loro musica e non avranno futuro commerciale”, disse una importante casa discografica ai Beatles.
Per stare nell’ambito sportivo pensiamo alle storie di Valentino RossiFederica PellegriniUsain BoltMichael JordanLionel Messi. Leggendo le loro biografie puoi scoprire i meccanismi che permettono a questi campioni sportivi di eccellere, ma puoi anche trovare tutti i retroscena: ti renderai conto che queste persone incredibili sono necessariamente passate attraverso numerosi fallimenti prima di incontrare il loro successo.
In ogni storia ci sono momenti di grande sofferenza, non esistono grandi persone che abbiano avuto una vita facile.
Semplice? No. Automatico? Nemmeno.
Ma ci si può lavorare e lo sport coaching fornisce non solo strumenti e strategie utili a vincere, ma anche un supporto per imparare a perdere e gestire la sconfitta.
Ecco 6 passi per reagire al fallimento:
1. Accetta la sconfitta senza appellarti alla sfortuna o crearti degli alibi: vietato dare colpe ai compagni, all’allenatore, all’arbitro… anche se riscontri delle oggettività. Non ci sono persone da incolpare, ma responsabilità da assumersi e feedback costruttivi da dare. Cadere è parte integrante dell’imparare a camminare. La cosa importante è mantenere la fiducia e riprovare, questo approccio ti porta sempre più vicino al successo.
2. La sconfitta è nella gara, non nella vita: come abbiamo già detto in articoli precedenti, esamina i comportamenti tecnici, fisici e mentali che vanno migliorati o che non hanno funzionato, ma non andare mai mai mai ad intaccare la tua identità. Metterti in discussione dandoti del perdente o del fallito perché hai gestito male una partita è una scelta molto pericolosa per la tua autostima. Anche qui: valuta le tue azioni, il rendimento dei tuoi fondamentali, il tuo atteggiamento. E lavoraci.
A prescindere dall’entità della sconfitta, non perderai mai il tuo valore.
3. Prenditi cura della ferita che la sconfitta ha lasciato: trattala con riguardo. Spargici sopra la consapevolezza di chi sei, di quanto vali, di quanto hai già realizzato; nutrila della maturità che hai raggiunto come individuo e come squadra; donale quel pizzico di entusiasmo che ti ha permesso di arrivare a tutti i tuoi traguardi con l’atteggiamento da Vincente.
Italia---Rio20164. Impara a considerare la sconfitta non come un dramma, ma come una opportunità di rinascita: in termini di apprendimento la lezione che impari dopo una sconfitta viene ricordata molto più a lungo rispetto l’emozione effimera legata alla vittoria. Quando ti fermi a piangerti addosso per il tuo fallimento non cresci e non porti a casa niente di nuovo.
“Chi vince festeggia, chi perde impara.”
Dopo ogni errore hai l’occasione di perfezionarti e di diventare sempre più bravo, tendenzialmente se ci tieni a quello che fai e a come lo fai, più sbagli e più ti impegni subito dopo. In una costante ed esponenziale ottimizzazione delle tue capacità.
5. Mettici dentro le mani:
Nessuna squadra vince il campionato senza perdere qualche partita. Ovvio, dopo lo smacco nello spogliatoio c’è una grandissima delusione ma l’abilità dell’allenatore e dei giocatori sta proprio nell’analizzare l’incontro, capire ciò che non ha funzionato e allenarsi per migliorare i punti critici e confermare quelli di forza. Quindi, a bocce ferme (non quando l’emotività è ancora alle stelle!), risponditi a queste domande:
– Qual è la lezione oggi?
– Cosa imparo da questa esperienza?
– Come posso fare per migliorare?
Il segreto di chi alla fine poi vince è non darsi mai per sconfitti e tornare più forti ed agguerriti di prima. Considera che ogni battuta d’arresto è un’occasione per imparare qualcosa di nuovo.
6. Riposati e riparti:
Stacca la spina, riposati, ricaricati e al primo allenamento disponibile riparti con i tuoi nuovi obiettivi mettendo il focus su quello che hai analizzato e che va migliorato. Non c’è niente di meglio che darsi da fare per archiviare una delusione. Più migliorerai, più saranno le volte che vincerai.
“Nella mia vita ho sbagliato più di novemila tiri, ho perso quasi trecento partite, ventisei volte i miei compagni mi hanno affidato il tiro decisivo e l’ho sbagliato. Ho fallito molte volte. Ed è per questo che alla fine ho vinto tutto”.
Michael Jordan
Come sempre ti invito a consultare il mio sito internet www.giuliamomoli.com e rimango a tua disposizione all’indirizzo g.momoli@ekis.it
A presto,
Giulia"

martedì 10 ottobre 2017

Pensa alla prossima palla!

Dicono che ci sia una differenza tra la temperatura reale e quella percepita, ma nella "sopportabile pesantezza dell'essere" la misura reale è senza dubbio il peso che percepiamo. 
Fausto Cercignani, Simply Transcribed


E' un po' di tempo che ho in testa questo post, ma non ho mai trovato il momento adatto per scriverlo: non perché fossi impegnato, ma l'argomento è tanto pesante quanto delicato e parlarne nel momento sbagliato potrebbe infastidire più di qualcuno.
Già il fatto di scrivere una frase come quella che avete appena letto dà il senso della gravosità con cui si può percepire l'argomento di questo post: l'errore!

Proprio lui. 
Anzi, per essere più precisi vorrei provare a discutere del modo malsano con cui si vive l'errore nel mio sport.

La pallavolo, si sa, è uno sport in cui l'errore fa la differenza tra una sconfitta o una vittoria, tra un top-player e uno che potrebbe diventarlo (e magari non lo diventerà mai).

Osservando me e tanti altri giocatori nel corso degli anni ho potuto notare alcune linee di pensiero sulla gestione degli errori.
Quella classica ha a che fare la tecnica. Gli allenatori o i giocatori che perseguono questa linea affermano che eseguendo bene un gesto tecnico si avrà come diretta conseguenza un'azione priva di errori. Il problema principale di questo concetto è che non tutti gli errori sono tecnici e, soprattutto, non basta fare tutto bene per vincere (anche se aiuta molto): bisogna anche fare qualcosa meglio dell'avversario.
Per risolvere l'errore di tipo tecnico ci sono 2 strade tra loro in antitesi:
- tante ripetizioni di un gesto fino a farlo diventare automatico e corretto;
- poche ripetizioni esatte di un gesto per aumentare il livello qualitativo dello stesso.
Scommetto che almeno una di queste due strategie l'abbiano provata sulla propria pelle tutti i pallavolisti!

Personalmente, sbagliando molto, le ho provate tutte e due!!! Devo dire che funzionano entrambe, ma di solito i giocatori(almeno quelli che sentono il bisogno di migliorarsi) preferiscono la prima per un motivo banale: lavorando di più ci si mette in condizione di sentirsi la coscienza pulita. Il concetto è: "ho lavorato tanto, di più non potevo fare, quindi mi sento a posto".
Non voglio dire di essere d'accordo o di pensare che questa sia la strada migliore, tutt'altro, ma per quanto possa sembrare banale e sciocco, pensarla in questo modo rende più tranquilli i giocatori e quindi li fa rendere meglio. Ovviamente anche l'allenamento aiuta, ma ad ogni modo non è di questo che parleremo. Oggi vorrei concentrarmi solo sull'aspetto mentale del "percepire" gli eventi e in particolare del "percepire" l'errore, vero soggetto di questo post.

L'errore o si subisce o si usa: non c'è altra storia. 
Apro un parentesi.
Spesso si chiede ai giocatori di pensare alla "prossima palla": una delle frasi più imprecise della storia del coaching perché cambia valore a seconda del contesto. Innanzitutto, se ammettiamo che quel che è andato è andato "pensare alla prossima palla" potrebbe essere una frase utilissima quando si fa punto piuttosto che quando lo si perde. Provate a pensarvi dopo aver fatto un colpo eccellente, magari uno di quei colpi da maestro che capitano una volta nella vita: cuore accelerato, battito a mille, cervello che fatica a focalizzare e magari, per i più timidi, anche la sensazione indiscreta di aver tutti gli occhi puntati addosso (cosa che 2 secondi prima nemmeno percepivano)...non mi sembrano proprio le condizioni ideali per approcciarsi all'azione seguente, che, oltretutto, sarà un'azione di contrattacco (abbiamo fatto punto, no?) e quindi condizionata da molte più variabili rispetto ad una di cambiopalla.

Chiusa la parentesi torniamo a noi riprendendo da dove avevo lasciato: pensare alla prossima palla è un concetto che cambia valore a seconda del contesto.

Un errore è un buon sistema di insegnamento: in allenamento non dev'essere dimenticato e in partita dev'essere gestito. Sbagliare è un'esperienza di crescita.

Quando perdi, non perdere la lezione.
Dalai Lama


E' importante non passare subito alla prossima palla ma fermarsi a riflettere per un secondo su quanto è successo per evitare si possa ripetere.

Facciamo attenzione a due situazioni classiche che si verificano in partita.

1. Sentire di aver commesso un errore e percepirne fastidio è buono, ma è assolutamente vietato far vedere al nostro avversario il nostro fastidio: soprattutto nell'alto livello equivale a scavarsi la fossa da soli perché il nostro rivale sicuramente andrà a insistere sulla situazione da noi sbagliata per farci ripetere l'errore o, dall'altro punto di vista, per prendersi un altro punto! 

2. Percepire l'errore come un fastidio è quasi sempre inteso con un'accezione negativa...da cui la frase (questa volta giusta nel contesto) "pensa alla prossima palla". E' proprio su questo che bisogna lavorare. Tornando al concetto espresso dalla frase del Dalai Lama: sfruttiamo l'esperienza e rendiamo il futuro positivo.

Come si fa? Bella domanda. 
La risposta (utopica?) è molto semplice: bisogna cambiare mentalità. Siccome questa frase mi suona veramente vuota cerco di esprimere meglio il mio pensiero: 
un amico mi raccontava di una sua esperienza giovanile in una classe di  una scuola statunitense (sì, ogni volta che si parla di mentalità e approcci positivi si finisce in USA....sarà ora di studiarli seriamente questi americani???). La professoressa aveva dato un compito uguale a tutti i ragazzi che, diligentemente, si erano messi a rispondere alle varie domande. Vedendo il suo compagno di banco in difficoltà il mio amico, da buon italiano, gli ha allungato il foglio con le risposte per farlo copiare. La reazione del compagno è stata pressoché fantascientifica per noi: piccato allontana il foglio delle risposte e continua a non rispondere fino alla consegna del compito. 

- Primo risultato(immediato): voto bassissimo. 
- Secondo risultato: il professore si è messo a rispiegare al suo compagno quello che aveva sbagliato, cercando la modalità comunicativa migliore, fino a che il ragazzo  non lo ha fatto suo.
- Risultato finale(nel lungo periodo): uno studente preparato.

Cambiare mentalità significa cambiare il modo di allenare. L'errore non dev'essere un mostro da cui scappare, ma un passaggio necessario verso il perfezionamento.

Ricercare questo tipo di approccio produce giocatori che:
1. ricercano il perfezionamento senza imporsi limiti mentali
2. non subiscono l'errore e quindi diventano meno attaccabili dagli avversari
3. migliorano a più ampio raggio: questo tipo di approccio è valido per gli aspetti tecnici così come per quelli tattici

Quest'anno in squadra ho l'occasione di avere due giocatori made in USA e devo dire che questo aspetto di leggerezza nell'approccio ad alcune situazioni di gioco è evidentissimo....devo ammettere, per uno dei due, che ogni tanto l'estrema leggerezza mi infastidisce un pochino perchè lo induce a complicare le giocate a discapito di qualche mio faticosissimo primo tocco, ma è giovane e si farà!!! ;-P

Tornando seri per un minuto ancora: la percezione di una situazione deriva dagli stimoli esterni che il giocatore assimila. Il processo è più facilmente modificabile con i giovani, ma ciò non esclude che anche i giocatori esperti possano beneficiarne, tutt'altro!!!! Non si smette mai di imparare...banale ma vero.

Il primo passo in questo senso, per un allenatore, è la programmazione: il coach deve sapere dove vuole portare(tecnicamente e tatticamente) la sua squadra.
Una volta stabilito l'obiettivo deve iniziare un bombardamento di stimoli positivi incentrati sul perfezionamento. Ogni processo è singolare e deriva dai caratteri di chi lo propone e di chi lo "subisce". Personalmente credo che uno degli aspetti più belli dell'allenare sia proprio quello di trovare il modo giusto di trasmettere le proprie idee ad ogni singolo giocatore.



Un invito a non incappare nell'errore contrario a quello di far pesare troppo l'errore: la superficialità.

Non sottolineare l'errore significa non riconoscere una situazione da modificare. Errore clamoroso.

Non dar peso a nessun errore non crea giocatori, ma un gruppo di gente che magari si diverte insieme e che sicuramente non migliora minimamente rispetto a quanto dovrebbe.

Non sottolineare il peso di un errore induce l'atleta a non capire le priorità: cosa è importante? "Quando" è importante? Perché qualcosa è più utile o semplicemente utile? Etc.

L’esperienza non è ciò che accade a un uomo. E’ ciò che un uomo fa di ciò che accade a lui.
Aldous Leonard Huxley

Un'ultima storiella personalissima. 
Qualche anno fa un mio collega del corso per allenatori di primo grado mi fece una domanda che mi diede un po' da pensare: "ho una giocatrice, libero, che non sopporta sbagliare. Ogni volta che fa un errore si senta affranta e di fatto smette di giocare. Cosa posso fare?" 
Forse ora riesco a integrare meglio la risposta, che già non era molto distante da quanto vado a scrivere. Il problema, in questo caso, riguarda la mancanza di esperienza, ma per imparare basta guardare "chi lo ha già fatto". Tutti commettono errori, anche i giocatori di alto livello. Far vedere che anche i top player sbagliano può essere sicuramente un modo per far capire che l'errore fa parte del gioco. Ovviamente va fatto in maniera poco approfondita, limitandosi più o meno al concetto che ho appena espresso senza indagare troppo e sviare verso altri lidi troppo particolari: anche la valutazione di uno sbaglio e il peso di uno stesso tipo di errore devono essere rapportati, così come le abilità tecniche o tattiche, al livello di gioco e all'età del singolo atleta. Un palleggio a 13 anni non è lo stesso palleggio a 30 anni seppur sempre di palleggio si parla: idem con l'errore.

Ricorda coach:
Se tratti una persona come se fosse ciò che dovrebbe e potrebbe essere, diventerà ciò che dovrebbe e potrebbe essere.
Johann Wolfgang Goethe



giovedì 28 settembre 2017

Un semplice racconto

Lo sostengo ogni giorno di più: lo SPORT produce INTEGRAZIONE



Preseason. Un giorno qualunque. Ieri.
La dirigenza ci comunica di anticipare l'arrivo in palestra per il giorno seguente (oggi) perché verranno a farci visita due preti per una benedizione. La notizia lascia tutti un po' perplessi. Per me, nonostante i miei due anni vissuti all'ombra della cupola della Santa Casa di Loreto, è una situazione mai capitata prima in palestra. Qualche risolino. Io che cerco di spiegare a qualcuno dei giocatori stranieri che non parla italiano cosa ci hanno comunicato. Gli stranieri che pensano che io stia confondendomi con i termini inglesi(sì...tra  noi giocatori la lingua "ufficiale" è l'inglese). Altri risolini. Qualche dubbio. Alla fine il messaggio arriva a tutti.

Preseason. Un giorno qualunque. Oggi.
Arriviamo in palestra. Due frati francescani arrivano al palazzetto. Ci riuniamo in spogliatoio. C'é anche il presidente. Sediamo sulle panchine. Frate(o padre...come si dice?) Danilo prende la parola e ci spiega il significato di "benedire" e come onorare questo termine. "Dire" è "fare" quello che possiamo "per" gli altri e "con" gli altri al meglio. Ci alziamo tutti, staff e dirigenti compresi. Benedizione con l'acqua per tutti. Nessuno escluso. Usciamo dallo spogliatoio. Foto di rito disposti su due righe in quest'ordine:

davanti
- n cattolici
- 2 frati
- un quadro raffigurante il San Francesco di Cimabue
dietro
- N mormoni
- N ortodossi
- N atei
- N cattolici
- etc

Tante religioni e tanti territori diversi in un'unica foto...anzi, dentro i 3 metri di un campo di pallavolo: 27mq di vera UNIONE.

Non è poi così difficile stare TUTTI insieme se c'è RISPETTO da parte di tutti. Oggi ne sono stati un esempio sia i frati nel porsi verso quello che banalmente consideriamo l'"altro" sia i miei compagni non cattolici che hanno rispettato senza nemmeno pensarci una tradizione della più diffusa religione dello stato che li ospita. Talmente semplice e normale da sembrare banale.
In fondo, se volessimo, sarebbe tutto più bello ...semplicemente.

Guardiamo alle religioni come alle mille foglie di un albero, ci sembrano tutte differenti, ma tutte riconducono a uno stesso tronco.
Mahatma Gandhi


sabato 9 settembre 2017

Ad esclusione dei professionisti: cose da evitare con metodo!

Fino al momento precedente a quello in cui cominciamo a scrivere, abbiamo a nostra disposizione il mondo [...] il mondo dato in blocco, senza né un prima né un poi, il mondo come memoria individuale e come potenzialità implicita [...]. Ogni volta l'inizio è quel momento di distacco dalla molteplicità dei possibili: per il narratore è l'allontanare da sé la molteplicità delle storie possibili, in modo da isolare e rendere raccontabile la singola storia che ha deciso di raccontare.
Italo Calvino, Le città invisibili


Tradotto in maniera che anch'io possa capire: per arrivare al concetto esatto è necessario eliminare tutti i concetti che non riteniamo tali (sottointeso: "e non vuol dire che non lo siano in senso assoluto")!

Come mai questa premessa?
Semplicemente perché a partire da una singola frase creatasi nella mia testa, in seguito a un'esperienza diretta e recente(durata sì e no 5 secondi), si sono sviluppati trecentomila pensieri confusi che mano a mano ho dovuto scartare per trasformare l'ira in un momento di ragionamento proficuo. Ciò non toglie che il semplice "fare un ragionamento" non implica automaticamente che lo stesso sia corretto o, per l'appunto, proficuo.

Premesso che non racconterò il fatto per evitare problematiche, cominciamo dal principio: la frase!
La riporto così come mi è apparsa in testa purgandola per quanto possibile:

"Va bene che sono una persona complicata e magari difficile da capire, ma quanti rincoglioniti presuntuosi ci sono in giro?"

Sì, lo so: non è proprio all'altezza delle citazioni che di solito uso per questo blog!!! Anzi, detta così sembra solamente uno sfogo, ma non essendo stata proferita ad alta voce non ha mai nemmeno assunto tale ruolo....diciamo che è stata solo la scintilla per un ragionamento sui professionisti, ma, soprattutto,su coloro che si ritengono tali.

Vediamo, innanzitutto, la definizione di professionismo e professionalità, due concetti che tendono a sovrapporsi e che in Italia sembrano essere alquanto vaghi.
Mi affiderò al dizionario Treccani:

Professionismo: l’esercizio di un’attività con carattere professionale. In particolare, esercizio dell’attività sportiva con carattere di esclusività e continuità, su una base di impegni contratti e dietro retribuzione regolare e costante.

Professionalità: Qualità di chi svolge il proprio lavoro con competenza, scrupolosità e adeguata preparazione

Tanto per dire: un dilettante può essere professionale così come un professionista può non esserlo.
Il punto è proprio questo: molti si improvvisano ciò che non sono e credono di saper fare ciò che effettivamente non sanno fare.

Riportando la cosa nel mio mondo sportivo, siccome per essere competenti in un campo non è strettamente necessario possedere un titolo specifico, possiamo dire che un giocatore può essere un lavoratore molto professionale. Sicuramente non siamo lavoratori professionisti vista la normativa della federazione pallavolistica italiana. Lo dico senza polemica: il volley, per chi non lo sapesse, è uno sport dilettantistico e conseguentemente ha uno statuto che lo inquadra ed identifica come tale. That's all folks!



Il ragionamento non vale solo per i giocatori, ma anche per tutte le figure che compongono uno staff, sebbene queste siano autorizzate a fare il loro mestiere da un titolo riconosciuto, quantomeno, a livello federale. Si può dibattere sulle capacità che dia il raggiungimento di tali titoli, ma è anche vero che spesso l’esperienza riesce a supplire alla mancanza di un percorso formativo  professionale fungendo da formazione in itinere. D’altro canto, però, non è ammissibile inventarsi professionista di un lavoro che si conosce poco o niente affatto.

Quindi: mi sta bene che chi si dimostra professionale possa aspirare ad essere un professionista (che già di per sé, concettualmente, è una forzatura ammissibile solo per lo stato dei fatti in Italia), ma non mi sta bene che automaticamente ci si definisca tali senza adeguata esperienza.
La professionalità va ben oltre il concetto di competenza o abilità specifica e racchiude un insieme di fattori sia tecnici che (udite udite)umani.
Quante volte si sente dire: "il suo lavoro lo sa fare, ma non sa trattare con le persone/giocatori/staff?". Oppure: "ne sa parecchio, ma ha un caratteraccio..."
Di fatto cosa si sta dicendo di questo presunto "professionista"?
E' competente, ma incapace di relazionarsi con i propri interlocutori sotto il profilo umano, di creare un rapporto empatico. Siccome nello sport si ha a che fare con persone, l’aspetto umano è da considerarsi condicio sine qua non per instaurare una collaborazione o un rapporto professionale proficui.
Ergo: è bravo, ha competenze, ma è tutto inutile perché non sa trasmetterle o, peggio ancora, chi deve riceverle crea barriere in ingresso per evitare un contatto, seppur solo di carattere lavorativo, con questo presunto professionista.

Sto descrivendo un quadro molto negativo che non è specchio del 100% della realtà ovviamente...ad onor del vero nemmeno del 50% nella pallavolo...anzi: decisamente meno. Però, partendo dal meccanismo di individuazione di un concetto (di cui alla prima riga del post) e avanzando per eliminazione dei punti superflui, provo a estrarre un'indicazione utile e a rispondere  alla seguente domanda:

Quali sono le caratteristiche che bisogna evitare di avere per non essere definiti "presunti professionisti"?

Nella mia personale esperienza ho incontrato 4 profili negativi classici di "colleghi" presunti professionisti. Ho notato che spesso sono una reazione inconsapevole di chi involontariamente li adotta o un sistema di difesa di chi si sente inadeguato.
Non so se abbiano un nome scientifico o se siano solo frutto della mia mente...ad ogni modo li denominerò in maniera tutt'altro che professionale:

1. Il fenomeno
Autoincensarsi, parlare in modo poco lusinghiero dei colleghi, esprimere critiche non costruttive, mostrarsi incapaci di un’autentica dialettica e non saper fare rete sono le sue caratteristiche peculiari.

2. Il duro.
Tra i 4 è quello che odio di più.
E' solitamente una persona inesperta, insicura di sé, che non vuole darlo a vedere. Per evitare di essere colta in fallo evita il dialogo: si fa come dice lui, senza spiegazioni perchè è giusto così. Punto. La cosa più bella è che qualsiasi tipo di interazione provi ad avere con il "duro", lui non la percepisce. Mi spiego meglio: magari sarebbe anche in grado di dissipare i tuoi dubbi(essendo insicuro conosce e ha studiato a menadito la teoria), ma dovendosi far vedere preparato e più forte di te sull'argomento o dici quello che vuole lui o non si parla.
ATTENZIONE: Laddove decida di sbilanciarsi, rispondere e spiegare qualcosa è vivamente sconsigliato fargli ulteriori domande: il rischio è una risposta brusca e piccata o, peggio ancora, una punizione del tipo "non ti parlo più" o "farò di tutto per dimostrare agli altri che non sei all'altezza di essere qui".
Il "duro" per l'appunto....

E pensare che le persone "dure", quelle realmente forti, non hanno blocchi dovuti al giudizio degli altri, anzi: sono quelle più disposte al dialogo proprio perché sicure dei loro pilastri interiori fondamentali. Non sono le nozioni a renderci "duri", ma la consapevolezza dei nostri limiti e la conoscenza di noi stessi.

Oltretutto l'inesperienza è una condizione ricorrente per chi cerca nuovi orizzonti, vede cose nuove e vuole progredire

C. L'ignavo...anche detto il camaleonte. In realtà il termine preciso è più volgare e, perciò, eviterò di usarlo.
Si asserve al capo o al suo diretto superiore. Nel caso dei giocatori segue quello più acclamato dalle folle (ovvero: non sempre segue il migliore!). Alcuni si adattano in maniera camaleontica al contesto o al target, sostenendo idee funzionali all’uno o all’altro. Ingegnosità? Sopravvivenza? Sicuramente tra i 4 è la variante del presunto professionista che paga di più in termini personali. Sono quelli che fanno più strada in rapporto alle loro reali capacità. A mio modesto avviso, però, sono le persone che in assoluto contribuiscono di meno alla crescita della squadra, anzi: spesso aiutano ad indirizzare gli sforzi di tutti in un vicolo cieco o verso direzioni pericolose e controproducenti. Banalmente: sono convinto che coerenza e onestà intellettuale ripagano sempre. Utopia? Secondo me no, ma sicuramente sono qualità difficili sia da trovare che, dall'altro lato, da mettere sul piatto: richiedono sacrificio e fatica (e non a livello fisico!).

D. Il professore
Un altro «peccato» è propugnare le proprie idee e convinzioni come fossero la bibbia del settore. Mai dimenticare che esiste ed esisterà sempre qualcuno migliore di noi, da cui imparare e prendere esempio. Un professionista deve sentirsi sempre inappagato, non preparato a sufficienza, deve essere proiettato nel futuro e non deve accontentarsi mai.

Già che ci sono dò una bacchettata anche dal lato opposto dello schieramento: l’eccesso di umiltà e modestia non sempre è positivo, talvolta può rivelarsi addirittura pregiudizievole. Come detto prima, una giusta dose di sana consapevolezza di sé non guasta mai, soprattutto nello sport.

Finora ho cercato di individuare ciò che non vorrei mai essere.
A questo punto devo fare come Calvino: eliminare tutti i possibili "me stessi" non utili alla creazione del "me stesso" esatto....sarà un compito arduo, ma credo che individuare il problema e comprenderlo sia il primo (e unico) passettino necessario per partire alla ricerca della giusta soluzione!

Elimina e ragiona, ragiona ed elimina mi troverò.... ma nel frattempo bisognerà cercare di perseguire un'altra qualità per pochi, ma più facilmente individuabile: l'umiltà...aspettando che l'esperienza faccia il suo corso.



Questi sono i modi con cui possiamo mettere in pratica l’umiltà: parlare il meno possibile di noi stessi; rifiutare di immischiarci negli affari degli altri; evitare la curiosità; accettare allegramente le contraddizioni e le correzioni; passare sopra agli errori altrui; accettare insulti e offese; accettare di venir disprezzati, dimenticati e non amati; non cercare di essere particolarmente prediletti e ammirati; rispondere con gentilezza anche se provocati; non calpestare mai la dignità di nessuno; cedere alla discussione, anche se si ha ragione; scegliere sempre ciò che è più difficile.
Madre Teresa di Calcutta