sabato 9 settembre 2017

Ad esclusione dei professionisti: cose da evitare con metodo!

Fino al momento precedente a quello in cui cominciamo a scrivere, abbiamo a nostra disposizione il mondo [...] il mondo dato in blocco, senza né un prima né un poi, il mondo come memoria individuale e come potenzialità implicita [...]. Ogni volta l'inizio è quel momento di distacco dalla molteplicità dei possibili: per il narratore è l'allontanare da sé la molteplicità delle storie possibili, in modo da isolare e rendere raccontabile la singola storia che ha deciso di raccontare.
Italo Calvino, Le città invisibili


Tradotto in maniera che anch'io possa capire: per arrivare al concetto esatto è necessario eliminare tutti i concetti che non riteniamo tali (sottointeso: "e non vuol dire che non lo siano in senso assoluto")!

Come mai questa premessa?
Semplicemente perché a partire da una singola frase creatasi nella mia testa, in seguito a un'esperienza diretta e recente(durata sì e no 5 secondi), si sono sviluppati trecentomila pensieri confusi che mano a mano ho dovuto scartare per trasformare l'ira in un momento di ragionamento proficuo. Ciò non toglie che il semplice "fare un ragionamento" non implica automaticamente che lo stesso sia corretto o, per l'appunto, proficuo.

Premesso che non racconterò il fatto per evitare problematiche, cominciamo dal principio: la frase!
La riporto così come mi è apparsa in testa purgandola per quanto possibile:

"Va bene che sono una persona complicata e magari difficile da capire, ma quanti rincoglioniti presuntuosi ci sono in giro?"

Sì, lo so: non è proprio all'altezza delle citazioni che di solito uso per questo blog!!! Anzi, detta così sembra solamente uno sfogo, ma non essendo stata proferita ad alta voce non ha mai nemmeno assunto tale ruolo....diciamo che è stata solo la scintilla per un ragionamento sui professionisti, ma, soprattutto,su coloro che si ritengono tali.

Vediamo, innanzitutto, la definizione di professionismo e professionalità, due concetti che tendono a sovrapporsi e che in Italia sembrano essere alquanto vaghi.
Mi affiderò al dizionario Treccani:

Professionismo: l’esercizio di un’attività con carattere professionale. In particolare, esercizio dell’attività sportiva con carattere di esclusività e continuità, su una base di impegni contratti e dietro retribuzione regolare e costante.

Professionalità: Qualità di chi svolge il proprio lavoro con competenza, scrupolosità e adeguata preparazione

Tanto per dire: un dilettante può essere professionale così come un professionista può non esserlo.
Il punto è proprio questo: molti si improvvisano ciò che non sono e credono di saper fare ciò che effettivamente non sanno fare.

Riportando la cosa nel mio mondo sportivo, siccome per essere competenti in un campo non è strettamente necessario possedere un titolo specifico, possiamo dire che un giocatore può essere un lavoratore molto professionale. Sicuramente non siamo lavoratori professionisti vista la normativa della federazione pallavolistica italiana. Lo dico senza polemica: il volley, per chi non lo sapesse, è uno sport dilettantistico e conseguentemente ha uno statuto che lo inquadra ed identifica come tale. That's all folks!



Il ragionamento non vale solo per i giocatori, ma anche per tutte le figure che compongono uno staff, sebbene queste siano autorizzate a fare il loro mestiere da un titolo riconosciuto, quantomeno, a livello federale. Si può dibattere sulle capacità che dia il raggiungimento di tali titoli, ma è anche vero che spesso l’esperienza riesce a supplire alla mancanza di un percorso formativo  professionale fungendo da formazione in itinere. D’altro canto, però, non è ammissibile inventarsi professionista di un lavoro che si conosce poco o niente affatto.

Quindi: mi sta bene che chi si dimostra professionale possa aspirare ad essere un professionista (che già di per sé, concettualmente, è una forzatura ammissibile solo per lo stato dei fatti in Italia), ma non mi sta bene che automaticamente ci si definisca tali senza adeguata esperienza.
La professionalità va ben oltre il concetto di competenza o abilità specifica e racchiude un insieme di fattori sia tecnici che (udite udite)umani.
Quante volte si sente dire: "il suo lavoro lo sa fare, ma non sa trattare con le persone/giocatori/staff?". Oppure: "ne sa parecchio, ma ha un caratteraccio..."
Di fatto cosa si sta dicendo di questo presunto "professionista"?
E' competente, ma incapace di relazionarsi con i propri interlocutori sotto il profilo umano, di creare un rapporto empatico. Siccome nello sport si ha a che fare con persone, l’aspetto umano è da considerarsi condicio sine qua non per instaurare una collaborazione o un rapporto professionale proficui.
Ergo: è bravo, ha competenze, ma è tutto inutile perché non sa trasmetterle o, peggio ancora, chi deve riceverle crea barriere in ingresso per evitare un contatto, seppur solo di carattere lavorativo, con questo presunto professionista.

Sto descrivendo un quadro molto negativo che non è specchio del 100% della realtà ovviamente...ad onor del vero nemmeno del 50% nella pallavolo...anzi: decisamente meno. Però, partendo dal meccanismo di individuazione di un concetto (di cui alla prima riga del post) e avanzando per eliminazione dei punti superflui, provo a estrarre un'indicazione utile e a rispondere  alla seguente domanda:

Quali sono le caratteristiche che bisogna evitare di avere per non essere definiti "presunti professionisti"?

Nella mia personale esperienza ho incontrato 4 profili negativi classici di "colleghi" presunti professionisti. Ho notato che spesso sono una reazione inconsapevole di chi involontariamente li adotta o un sistema di difesa di chi si sente inadeguato.
Non so se abbiano un nome scientifico o se siano solo frutto della mia mente...ad ogni modo li denominerò in maniera tutt'altro che professionale:

1. Il fenomeno
Autoincensarsi, parlare in modo poco lusinghiero dei colleghi, esprimere critiche non costruttive, mostrarsi incapaci di un’autentica dialettica e non saper fare rete sono le sue caratteristiche peculiari.

2. Il duro.
Tra i 4 è quello che odio di più.
E' solitamente una persona inesperta, insicura di sé, che non vuole darlo a vedere. Per evitare di essere colta in fallo evita il dialogo: si fa come dice lui, senza spiegazioni perchè è giusto così. Punto. La cosa più bella è che qualsiasi tipo di interazione provi ad avere con il "duro", lui non la percepisce. Mi spiego meglio: magari sarebbe anche in grado di dissipare i tuoi dubbi(essendo insicuro conosce e ha studiato a menadito la teoria), ma dovendosi far vedere preparato e più forte di te sull'argomento o dici quello che vuole lui o non si parla.
ATTENZIONE: Laddove decida di sbilanciarsi, rispondere e spiegare qualcosa è vivamente sconsigliato fargli ulteriori domande: il rischio è una risposta brusca e piccata o, peggio ancora, una punizione del tipo "non ti parlo più" o "farò di tutto per dimostrare agli altri che non sei all'altezza di essere qui".
Il "duro" per l'appunto....

E pensare che le persone "dure", quelle realmente forti, non hanno blocchi dovuti al giudizio degli altri, anzi: sono quelle più disposte al dialogo proprio perché sicure dei loro pilastri interiori fondamentali. Non sono le nozioni a renderci "duri", ma la consapevolezza dei nostri limiti e la conoscenza di noi stessi.

Oltretutto l'inesperienza è una condizione ricorrente per chi cerca nuovi orizzonti, vede cose nuove e vuole progredire

C. L'ignavo...anche detto il camaleonte. In realtà il termine preciso è più volgare e, perciò, eviterò di usarlo.
Si asserve al capo o al suo diretto superiore. Nel caso dei giocatori segue quello più acclamato dalle folle (ovvero: non sempre segue il migliore!). Alcuni si adattano in maniera camaleontica al contesto o al target, sostenendo idee funzionali all’uno o all’altro. Ingegnosità? Sopravvivenza? Sicuramente tra i 4 è la variante del presunto professionista che paga di più in termini personali. Sono quelli che fanno più strada in rapporto alle loro reali capacità. A mio modesto avviso, però, sono le persone che in assoluto contribuiscono di meno alla crescita della squadra, anzi: spesso aiutano ad indirizzare gli sforzi di tutti in un vicolo cieco o verso direzioni pericolose e controproducenti. Banalmente: sono convinto che coerenza e onestà intellettuale ripagano sempre. Utopia? Secondo me no, ma sicuramente sono qualità difficili sia da trovare che, dall'altro lato, da mettere sul piatto: richiedono sacrificio e fatica (e non a livello fisico!).

D. Il professore
Un altro «peccato» è propugnare le proprie idee e convinzioni come fossero la bibbia del settore. Mai dimenticare che esiste ed esisterà sempre qualcuno migliore di noi, da cui imparare e prendere esempio. Un professionista deve sentirsi sempre inappagato, non preparato a sufficienza, deve essere proiettato nel futuro e non deve accontentarsi mai.

Già che ci sono dò una bacchettata anche dal lato opposto dello schieramento: l’eccesso di umiltà e modestia non sempre è positivo, talvolta può rivelarsi addirittura pregiudizievole. Come detto prima, una giusta dose di sana consapevolezza di sé non guasta mai, soprattutto nello sport.

Finora ho cercato di individuare ciò che non vorrei mai essere.
A questo punto devo fare come Calvino: eliminare tutti i possibili "me stessi" non utili alla creazione del "me stesso" esatto....sarà un compito arduo, ma credo che individuare il problema e comprenderlo sia il primo (e unico) passettino necessario per partire alla ricerca della giusta soluzione!

Elimina e ragiona, ragiona ed elimina mi troverò.... ma nel frattempo bisognerà cercare di perseguire un'altra qualità per pochi, ma più facilmente individuabile: l'umiltà...aspettando che l'esperienza faccia il suo corso.



Questi sono i modi con cui possiamo mettere in pratica l’umiltà: parlare il meno possibile di noi stessi; rifiutare di immischiarci negli affari degli altri; evitare la curiosità; accettare allegramente le contraddizioni e le correzioni; passare sopra agli errori altrui; accettare insulti e offese; accettare di venir disprezzati, dimenticati e non amati; non cercare di essere particolarmente prediletti e ammirati; rispondere con gentilezza anche se provocati; non calpestare mai la dignità di nessuno; cedere alla discussione, anche se si ha ragione; scegliere sempre ciò che è più difficile.
Madre Teresa di Calcutta

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