sabato 24 giugno 2017

I prefer not to

Capisci ora, Bulkington? Sembra che tu afferri barlumi di quella verità intollerabile ai mortali, che ogni pensare serio e profondo è soltanto l'intrepido sforzo dell'anima per mantenere la libera indipendenza del suo mare, mentre i venti più selvaggi della terra e del cielo cospirano a gettarla sulla costa traditrice e servile. Ma siccome nell'assenza della terra soltanto sta la suprema verità senza rive, infinita come Dio, così meglio è perire in quell'abisso ululante che venire vergognosamente sbattuto a sottovento, anche se in questo fosse la salvezza. Poiché, allora, oh! chi vorrebbe come un verme strisciare vilmente a terra? Terrore dei terrori! È così vana tutta quest'angoscia? Coraggio, Bulkington, coraggio! Tienti ferocemente, semidio! Su dagli spruzzi della tua morte oceanica, su, in alto, balza la tua apoteosi! 
Herman Melville, Moby Dick




Prefazione:
Il titolo è un'altra citazione di Melville, ma tratta da "Bartleby lo Scrivano".
La domanda che voglio fare è: hai capito qual è la responsabilità e la bellezza del ruolo dell'allenatore?? Perché sceglierlo come "mestiere"? 

Se non hai già la risposta probabilmente prima di approcciarti a questo ruolo è meglio che ci pensi ancora un po'!!
Nel frattempo provo a vedere se per caso con questo post riesco a chiarire (e a chiarirmi) le idee!!

Non mi era mai capitato di trovare qualcun'altro che come me associasse pensieri sportivi e libri....ecco invece un divertente articolo sulla figura dell'allenatore scritto da Dino De Angelis e tratto dal sito http://www.rmsport.it:

"Il coach è di per sé una creatura piuttosto strana, spesso solitaria e ciononostante in grado di dettare la strada per tutti quelli che gli ruotano intorno: in primis i giocatori che ha a disposizione, ma poi anche tutto l’ambiente, i tifosi, i dirigenti, i mass media. Con i giornalisti si sforza da sempre di avere un atteggiamento di cordialità – del resto non potrebbe fare altrimenti -,  ma qualche volta vorrebbe mandarne a quel paese qualcuno che proprio certe sue mosse non le ha capite e non le capirà mai. Eppure, se non lo provocano con domande troppo idiote specialmente dopo una sconfitta, risponde sempre con un sorriso, mostrando tutta la sua disponibilità.

Figura quasi mitologica, se dovessimo rappresentarlo con una sola immagine, il coach lo vedremmo bene come il capitano Achab: dorme poco la notte (specie prima delle partite) , durante la partita sta sempre in piedi in quella piccola porzione preassegnata di parquet che gli sta sempre troppo stretta, e capita sovente che l’arbitro che si trova a passare dalle sue parti gli dice che deve stare attento a non oltrepassare  quel rettangolo (sono quelli i momenti in cui vorrebbe rispondergli: “ma tu pensa alla partita”, ma ancora una volta si trattiene, per non incorrere in qualche stupida sanzione).

Se non ce l’ha con tutti poco manca. Gli arbitri sono nemici da abbattere al secondo/terzo fischio. Solo che non può. In trasferta ci sono anche le tifoserie che ogni tanto un coro glielo riservano, vorrebbe anche lì alzare il dito medio, invece si gira dall’altra parte e sorride amaro (“ve la faccio vedere io, a fine partita cosa ne dovete fare dei vostri fischi”).

Ma i suoi bersagli preferiti, nella maggior parte dei casi, sono proprio i suoi giocatori. Ma com’è possibile che non fanno esattamente come hanno provato cento volte in allenamento? Ha una parola per tutti, e la maggior parte di quelle parole non sono precisamente delle rose profumate.

In quel rettangolo maledetto in cui è confinato sembra uno che sta scontando qualche pena, il capitano Achab che è sempre attento ad avvistare quella Balena Bianca imprendibile che riappare e subito dopo scompare e lui lì, ogni maledetta domenica  a cercare la rotta giusta per afferrarla, pronti, via, e ogni volta si ricomincia con una palla a due.

Noi spettatori, noi giornalisti, noi fotografi, noi pubblico seduto sugli spalti o in poltrona davanti alla tv, il suo lavoro non lo vediamo mai per quello che è veramente. E non è facile capire il lavoro di un uomo dalla partita che andiamo a seguire: lo osserviamo di tanto in tanto sempre piuttosto solitario, passeggiare e a volte agitarsi e gridare come se fosse stato morso dalla tarantola. Tutto il resto  è un oscuro  lavoro sottocoperta, un lavoro riservato a quei pochi che condividono con lui l’impresa di preparare la battaglia, ovvero la partita, la croce e la delizia che decideranno il suo destino, le sue passeggiate a bordo campo, le sue alzate di mano, le grida durante i quaranta minuti (che sembrano pochi e invece non finiscono mai), e i ritorni a casa la sera, dove, tanto per cambiare, accende la tv e si sintonizza su un canale a vedere qualche altra partita in qualche altro pezzo di mondo. È fatto così. Carattere duro e orgoglioso, lupo solitario e famelico mascherato da agnellino, si placa solo dopo una vittoria, ma dura poco, un giorno al massimo. Se invece ha perso, quella calma non dura nemmeno quel giorno e di notte gli ritorna in mente tutto il film della partita, ma al rallentatore, così può esaminare scena per scena tutte le cazzate che hanno decretato l’insuccesso. Non gli serve per colpevolizzare qualcuno, ma solo per capire meglio il da farsi per la partita successiva. E così gli passano i decenni come fossero minuti di un time-out."

Per altri spunti di riflessione, tratti da Melville, sull'"allenatore", suggerirei di partire dal titolo o da questa frase che segue:

L'anima è come la quinta ruota in un carro.

Qual è o dov'è l'anima di un team?





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